In occasione della Giornata della memoria (27 gennaio), l’Alma Mater ricorda la storia di studenti ebrei provenienti da Paesi dell’Europa Centro-orientale che, per sottrarsi alle misure antisemite in vigore nel proprio Paese, proseguirono gli studi all’Università di Bologna, finché le leggi razziali non allontanarono da Bologna 49 docenti (ordinari, liberi docenti, assistenti) e circa 500 studenti ebrei stranieri.
Oggi il ritratto di Jòzef Klinger, a cura del Professore emerito Gian Paolo Brizzi, storico, già Direttore dell'Archivio storico dell'Università di Bologna (2000-2015) e attuale Presidente del Centro interuniversitario per la storia delle università italiane (Cisui).
"La narrazione della Shoah non cessa di lasciare attonito il lettore quando passando dall’anonimato delle agghiaccianti cifre dell’Olocausto si ripercorre il racconto di un protagonista. - racconta il prof. Brizzi.
È questo il caso del bilancio che Dov Weissberg (I remember …) ha fatto, ripercorrendo la sorte dei numerosi parenti, oltre trenta, che il progetto di sterminio antisemita del nazismo aveva sottratto al suo affetto. Fra questi egli menziona lo zio materno Jòzef Klinger, un medico che si era laureato qualche anno prima all’Alma Mater.
Jòzef Klinger, di Szulim, originario della Polonia, era nato a Husiatyn nel gennaio 1906.
Dopo aver frequentato gli studi a Leopoli, volle sottrarsi alle misure antisemite già operanti nel suo Paese che gli avrebbero impedito di intraprendere gli studi medici e scelse, seguendo l’esempio di numerosi coetanei, di trasferirsi in Italia.
Si iscrisse dapprima all’Università di Modena ove frequentò i primi due anni di corso, trasferendosi in seguito a Padova e, dal IV anno, all'Università di Bologna dove si laureò nel luglio del 1938.
Rientrato in patria si stabilì a Leopoli impegnandosi nella professione medica: la città fu occupata nel 1939 dai sovietici poi, dopo la rottura del patto Ribbentrop-Molotov, dai tedeschi. Mentre Jòzef si trovava a Varsavia, a Leopoli scattò la cosiddetta “Operazione d’Agosto”, durante la quale circa 50.000 ebrei furono trasferiti nel campo di sterminio di Bełżec: fra questi si trovavano la moglie di Jòzef e il figlioletto Emil di 1 anno, fra i primi ad ‘sperimentare’ le camere a gas di nuova concezione.
In un giorno solo, Klinger aveva perso anche i genitori, il fratello e la sorella e i coniugi di questi, oltre a un nipote. Arrestato mentre si trovava a Varsavia, venne imprigionato nel campo di Janowska dove si trovavano alcuni suoi famigliari ma riuscì a fuggire e a rientrare a Varsavia.
Qui assunse una nuova identità rifornendosi di documenti falsi divenendo Jòzef Przyzycki, medico di razza ariana e di religione cattolica. Questa nuova identità lo protesse per circa due anni ma la sua partecipazione alla rivolta di Varsavia (1 agosto-2 ottobre1944), segnò la sua fine. Egli aveva assunto il comando dell’ospedale da campo Blaszanka che, a settembre, fu occupato dalla Wehrmacht: tradito da un’infermiera che rivelò la sua vera identità ai tedeschi Klinger fu immediatamente fucilato".