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Scelte e dipendenze: il ruolo della memoria di lavoro

Secondo un nuovo studio realizzato da ricercatori dell’Università di Bologna, il possibile sviluppo di comportamenti disadattivi potrebbe essere collegato ad una minore capacità di ricordare e gestire le informazioni necessarie per prendere una decisione. Un risultato che può rivelarsi utile per mettere a punto nuove forme di trattamento delle dipendenze

Scelte e dipendenze: il ruolo della memoria di lavoro
(Foto: Victoriano Izquierdo / Unsplash)


La memoria di lavoro – ovvero la capacità di ricordare e gestire le informazioni necessarie per compiere una scelta – gioca un ruolo importante nella possibilità di sviluppare comportamenti disadattivi come la dipendenza da stupefacenti e la ludopatia, o anche disturbi d'ansia o fobici. È quanto emerge da un nuovo studio realizzato da ricercatori dell’Università di Bologna.

I risultati della ricerca – pubblicati sulla rivista del gruppo Nature Scientific Reports – mostrano come gli individui con una memoria di lavoro più sviluppata siano in grado di gestire in modo più mirato i tanti stimoli ambientali che ci circondano e che inevitabilmente influenzano le scelte che compiamo ogni giorno. Vedere il logo di una barretta di cioccolato, ad esempio, può spingerci a mangiare anche se non siamo affamati: chi però ha una maggiore memoria di lavoro si concentrerà su quella specifica barretta, mentre chi ha una memoria di lavoro più debole sarà portato ad una più generica ricerca di cibo. Una scoperta, questa, che può rivelarsi utile per mettere a punto nuove forme di prevenzione e nuovi trattamenti per far fronte al problema delle dipendenze.

MECCANISMI DI APPRENDIMENTO
Tutto parte dai due meccanismi basilari di apprendimento che si attivano quando dobbiamo compiere una scelta: l’apprendimento strumentale e l’apprendimento pavloviano. Il primo ci permette di collegare una determinata azione all’ottenimento di una ricompensa: ad esempio, premendo il tasto verde ricevo una caramella. L’apprendimento pavloviano, invece, ci permette di prevedere le conseguenze associate alla presenza di segnali esterni: ad esempio, una luce rossa lampeggiante può comunicarci che dobbiamo metterci al riparto da un pericolo imminente.

Questi due meccanismi non agiscono in modo isolato; al contrario, le conoscenze acquisite possono essere utilizzate in modo integrato quando dobbiamo prendere una decisione: uno schema molto utile per facilitare e velocizzare le scelte quotidiane, ma che in alcuni casi può rivelarsi pericoloso. "Meccanismi del genere sono spesso sfruttati ad esempio nelle strategie di marketing, per influenzare le scelte dei consumatori", spiega Sara Garofalo, ricercatrice dell'Università di Bologna e prima autrice dello studio. "Ma possono avere anche importanti ripercussioni in campo clinico, alimentando condotte patologiche come la dipendenza da sostanze e il gioco d'azzardo, o aggravando i disturbi d’ansia o fobici".

IL RUOLO DELLA MEMORIA DI LAVORO
Per indagare la maggiore o minore propensione degli individui ad essere guidati dagli stimoli ambientali nelle loro scelte, gli studiosi si sono concentrati sul ruolo della memoria di lavoro: una capacità cognitiva fondamentale nel processo decisionale, strettamente associata alle abilità attentive, logiche e di pianificazione del comportamento che permette di mantenere in memoria un certo numero di informazioni e manipolarle per il tempo necessario a svolgere il compito richiesto.

La ricerca ha coinvolto cento volontari ai quali è stata innanzitutto presentata una scelta tra più risposte, due delle quali portavano alla vincita di una ricompensa in cibo (un caso di apprendimento strumentale). In seguito, sono state mostrate una serie di immagini astratte associandone alcune alla vincita delle stesse ricompense (un caso di apprendimento pavloviano). Infine, la scelta iniziale tra più risposte è stata riproposta mentre ai soggetti venivano mostrate anche le immagini “pavloviane”.

"Misurando la memoria di lavoro dei soggetti coinvolti – dice ancora Sara Garofalo – abbiamo rilevato che una maggiore capacità di memoria di lavoro è associata ad una influenza puntuale, e non generica, degli stimoli esterni verso un particolare tipo di ricompensa. In altri termini, in persone con alti livelli di memoria di lavoro, un richiamo esterno verso una specifica barretta di cioccolato può sì indurre alla scelta di quella specifica barretta, ma non è accompagnato da un più generico aumento della ricerca di cibo".

SCELTE E DIPENDENZE
Il riconoscimento di queste differenze individuali legate alla memoria di lavoro può portare ad importanti ripercussioni in campo clinico. La propensione, legata ad una minore memoria di lavoro, a collegare gli stimoli ambientali con influenze generiche può essere infatti associata ad una maggiore inclinazione a sviluppare comportamenti disadattivi come la dipendenza da sostanze stupefacenti e la ludopatia.

Questi risultati insomma, oltre a confermare l’esistenza di diversi meccanismi attraverso cui gli stimoli esterni possono guidare le nostre azioni, aprono nuovi scenari per immaginare innovative forme di prevenzione e trattamento dei disturbi legati alle dipendenze.

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports (gruppo Nature) con il titolo “Individual differences in working memory capacity and cue-guided behavior in humans”.

Responsabile dello studio è il gruppo composto da Giuseppe di Pellegrino, Sara Garofalo e Simone Battaglia attivo presso il Centro studi e ricerche in Neuroscienze Cognitive del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna.