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Ha 3,8 milioni di anni il primo cranio fossile del più antico degli Australopitechi

Venuto alla luce in Etiopia, è un reperto “straordinariamente completo” di Australopithecus anamensis. Le analisi di un gruppo internazionale di ricercatori, a cui hanno partecipato anche studiosi dell’Università di Bologna, mostrano per la prima volta che Australopithecus anamensis avrebbe convissuto per circa 100.000 anni con il suo successore, Australopithecus afarensis

Un gruppo internazionale di ricercatori ha scoperto un cranio di Australopithecus “straordinariamente completo” risalente a 3,8 milioni di anni fa. Rinvenuto nel sito di Woranso-Mille, nella regione di Afar, in Etiopia, il reperto appartiene ad un esemplare di Australopithecus anamensis, l’antenato di Australopithecus afarensis (il cui più noto esemplare è la celebre Lucy). Si tratta del primo cranio di Australopithecus anamensis mai rinvenuto.

Il reperto – chiamato MRD – si inserisce in un intervallo di tempo, tra 4,1 e 3,6 milioni di anni fa, nel quale i fossili di antenati dell’uomo sono estremamente rari. Grazie a questa scoperta i ricercatori hanno potuto ottenere nuove informazioni sulla morfologia cranio-facciale complessiva di Australopithecus anamensis. Inoltre, l’analisi del cranio e la comparazione con altri reperti ha permesso di dimostrare che Australopithecus anamensis e Australopithecus afarensis avrebbero convissuto per circa 100.000 anni, sfidando così l’ipotesi fino ad oggi accreditata secondo cui la seconda specie si sarebbe diffusa solo dopo la scomparsa della prima.

La scoperta – i cui risultati sono stati pubblicati in due articoli su Nature – è stata realizzata da un team internazionale di ricercatori guidato da Yohannes Haile-Selassie, curatore del Cleveland Museum of Natural History e professore associato alla Case Western Reserve University (USA). “Quando ho visto per la prima volta il cranio venuto alla luce a Woranso-Mille non potevo credere ai miei occhi”, ha detto Haile-Selassie. “Si tratta di una scoperta fondamentale per ricostruire e comprendere l’evoluzione umana nel corso del Pliocene”.

Tra i ricercatori coinvolti nello studio del reperto ci sono anche Stefano Benazzi e Antonino Vazzana del Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna, che hanno lavorato alla scansione MicroCT e alla ricostruzione 3D del cranio fossile. “Abbiamo sfruttato tutta l’esperienza maturata in circa dieci anni di ricostruzioni digitali di ominini fossili per ottenere un modello 3D completo del cranio MRD”, ha detto Stefano Benazzi, che dirige il Laboratorio di Osteoarcheologia e Paleoantropologia (BONES LAB) dell’Università di Bologna. “È stato sorprendente, a seguito di un lavoro molto complicato in cui sono state utilizzate tecniche di modellazione 3D e metodi di morfometria geometrica, constatare di essere difronte al primo cranio completo di Australopithecus anamensis, ovvero la specie più antica del genere Australopithecus”.

LA SCOPERTA
Lo straordinario reperto è emerso nell’ambito delle ricerche avviate a partire dal 2004 nell’area di Woranso-Mille, un sito paleontologico nella regione di Afar in Etiopia. Fino ad oggi, queste ricerche hanno permesso di portare alla luce oltre 12.600 esemplari fossili appartenenti a circa 85 specie di mammiferi. Tra questi, ci sono fossili riconducibili a circa 230 esemplari di ominini vissuti tra 3,8 e 3 milioni di anni fa.


Il primo frammento del cranio MRD – la mascella superiore – è stato trovato nel febbraio del 2016 da Ali Bereino, un lavoratore Afar locale, in una località conosciuta come Miro Dora, nel distretto di Mille, circa 550 chilometri a nord-est della capitale Addis Abeba e 55 chilometri a nord di Hadar, dove nel 1974 furono rinvenuti i resti del celebre esemplare di Australopithecus afarensis conosciuto come Lucy. Dopo aver portato alla luce questo primo reperto, ulteriori indagini nella zona circostante hanno permesso di recuperare il resto del cranio.

Yohannes Haile-Selassie con il “MRD” cranium. Foto del Cleveland Museum of Natural History

IL PAESAGGIO

La datazione di 3,8 milioni di anni attribuita al reperto è stata determinata attraverso l’analisi dei minerali presenti in strati di rocce vulcaniche nell’area del ritrovamento. Combinando le osservazioni effettuate sul campo con lo studio di resti biologici microscopici rinvenuti nell’area, i ricercatori sono inoltre riusciti a ricostruire il paesaggio, la vegetazione e l’idrologia dell’epoca.


Il cranio fossile MRD è stato trovato tra i depositi sabbiosi di un’area in cui un antico fiume entrava in un lago oggi scomparso. Il fiume nasceva probabilmente dagli altopiani locali, mentre il lago si è sviluppato a quote più basse, dove i movimenti della Rift Valley etiopica hanno portato nel corso dei millenni alla nascita delle pianure che caratterizzano la regione di Afar. Nel corso dei millenni, il lago è stato poi colpito da diversi flussi di detriti e materiale vulcanico, fino ad essere del tutto sepolto da una colata di lava.

Nell’area in cui sorgeva il lago, i ricercatori hanno rinvenuto granelli di polline fossile e resti fossili di piante e di alghe. L’analisi di questi elementi ha permesso di stabilire che il lago era circondato da aree boschive, aveva un bacino perlopiù asciutto e in alcuni periodi era probabilmente salato.

Foto di Dale Omori, dal Cleveland Museum of Natural History

LA COESISTENZA
Uno dei risultati più sorprendenti emersi dall’analisi del cranio fossile MRD è la conclusione secondo cui Australopithecus anamensis e il suo discendente Australopithecus afarensis avrebbero convissuto per un periodo di almeno 100.000 anni: una scoperta che contraddice l’ipotesi secondo cui la scomparsa della prima specie avrebbe dato origine alla nascita della seconda.


Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori hanno confrontato il cranio fossile MRD con un frammento di cranio risalente a 3,9 milioni di anni fa (noto come “Belohdelie frontal”), scoperto in Etiopia nel 1981 e fino ad oggi non attribuito con certezza a nessuna specie di ominine. L’analisi ha permesso di mostrare che le caratteristiche del frammento “Belohdelie frontal” non sono compatibili con quelle del cranio MRD, ma sono invece molto simili a quelle di campioni cranici di Australopithecus afarensis. Di conseguenza, lo studio ha permesso di confermare che l’osso frontale di “Belohdelie” apparteneva ad un individuo della specie di Australopithecus afarensis. Una conclusione che permette così di datare la primissima testimonianza fossile di Australopithecus afarensis a 3,9 milioni di anni fa e, considerato che il cranio fossile MRD risale a 3,8 milioni di anni fa, conferma una sovrapposizione di almeno 100.000 anni tra Australopithecus afarensis e il suo antenato, Australopithecus anamensis.

Fino ad oggi, Australopithecus anamensis – il membro più antico del genere Australopithecus – era conosciuto solo attraverso denti e frammenti di mascella datati tra 4,2 e 3,9 milioni di anni fa. E sono state infatti le somiglianze tra la dentatura del cranio MRD e i frammenti di denti e mascelle già conosciute a permettere l’attribuzione del reperto rinvenuto nel sito di Woranso-Mille alla specie Australopithecus anamensis. Poiché però il cranio MRD è stato ritrovato in uno stato quasi completo, i ricercatori hanno potuto identificare anche caratteristiche facciali mai viste prima. Alcune di queste sono condivise con Australopithecus afarensis, altre però differiscono in modo significativo e ricordano elementi presenti in gruppi di antenati umani ancora più antichi e più primitivi, come Ardipithecus e Sahelanthropus. I ricercatori puntano ora ad approfondire ulteriormente lo studio di questo antico antenato dell’uomo e dell’ambiente in cui ha vissuto quasi 4 milioni di anni fa.

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
Gli studi legati all'analisi e al contesto geologico e paleoambientale del cranio fossile MRD sono stati condotti da un team internazionale di paleoantropologi, geologi, geochimici e paleobotanici. La descrizione comparativa di MRD e dei fossili di mammiferi associati è stata fatta da Yohannes Haile-Selassie (Cleveland Museum of Natural History, Cleveland, USA) e Stephanie Melillo (Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, Lipsia, Germania).


La scansione MicroCT e la ricostruzione 3D del reperto sono state condotte da Tim Ryan (Pennsylvania State University, University Park, Pennsylvania, USA) e Stefano Benazzi e Antonino Vazzana (Università di Bologna, Dipartimento di Beni culturali, Campus di Ravenna).

Il lavoro per ricostruire l’età del reperto e il contesto paesaggistico dell’epoca è stato svolto da Beverly Saylor (Case Western Reserve University, Cleveland, USA), Luis Gibert (Universitat de Barcelona, Spagna), Alan Deino (Berkeley Geochronology Center, Berkeley, USA), Mulugeta Alene (Università di Addis Abeba, Etiopia) e Stanley A. Mertzman (Franklin and Marshall College, Lancaster, USA). La ricostruzione delle condizioni ambientali dell’epoca a cui risale il cranio fossile MRD è stato invece condotto da Naomi Levin (Università del Michigan, Ann Arbor, USA), Mark Peaple e Sarah Feakins (University of Southern California, Los Angeles, USA), Benjamin Bourel, Doris Barboni, Alice Novello e Florence Sylvestre (Università di Aix-Marsiglia, CNRS, IRD, INRA, Collège de France, Aix-en-Provence, Francia), Stephanie Melillo (Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, Lipsia, Germania) e Yohannes Haile-Selassie (Cleveland Museum of Natural History, Cleveland, USA).