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Corteo per Patrick Zaky: le parole del Rettore Francesco Ubertini

Il discorso pronunciato dal Rettore in piazza Maggiore al termine del grande corteo promosso dal Consiglio degli Studenti per manifestare solidarietà allo studente dell'Alma Mater arrestato in Egitto

fotoraccontoCare studentesse e cari studenti, colleghe e colleghi dell’intera comunità Unibo, cittadine e cittadini, lasciate che vi dica il mio grazie per la vostra presenza qui oggi: rispondendo assieme al nostro Sindaco all'invito del Consiglio studentesco di marciare dal cuore della vita universitaria, via Zamboni, fino a questa piazza, simbolico abbraccio della città, abbiamo fatto un gesto piccolo, apparentemente così ordinario come lo è il camminare, ma siamo stati mossi da un desiderio grande, quello di pensare e far pensare a Patrick Zaky, arrestato il 7 febbraio all'aeroporto del Cairo, mentre tornava, in una pausa dai suoi studi, a trovare la famiglia e gli amici di sempre. Vogliamo pensare a Patrick, fargli sentire la nostra vicinanza e la nostra solidarietà, condividere un momento tanto delicato della sua vita.

E se così numerosi siamo accomunati da questo intento, assieme alle altre istituzioni del Consorzio Gemma che stanno manifestando nelle diverse città europee proprio in queste ore, è perché Patrick è un nostro studente, un nostro compagno di studi, un nostro allievo, e sopra ogni altra cosa è un cittadino dell’alma universitas, di una comunità accademica che in quanto tale non può conoscere frontiere nazionali, non dovrebbe subire divisioni culturali né tantomeno temere che non siano rispettati i diritti della persona. Patrick è iscritto a un master del programma Erasmus Mundus, il master Gemma, e in quanto tale è testimone di un’Europa aperta, di quella libera circolazione di persone e pensieri che tanto hanno dato e continuano a dare per la costruzione di una società più equa e umanamente ricca. Ecco perché, da subito, tutti noi docenti abbiamo parlato di lui dicendo “è un nostro studente”, i suoi amici lo hanno definito “un nostro compagno di studi”, le autorità bolognesi “un nostro cittadino”. In quella parola “nostro” è racchiusa non certo una rivendicazione identitaria, ma al contrario la volontà di difendere l’idea di una comunità interculturale che dal confronto di persone con esperienze di studio diverse, diverse curiosità, trae spunto per crescere e migliorare il mondo. In quest’ottica sì, Patrick è nostro studente, nostro cittadino, nostro compagno e la comunità Unibo, e più in generale la comunità accademica internazionale, ha bisogno del suo desiderio di sapere, delle sue domande in aula, dei suoi dubbi per continuare a far avanzare lo spirito critico e tener vivo il fuoco della conoscenza che mai si esaurisce.

Ecco perché siamo qui oggi in nome delle regole comuni della polis, del nostro vivere assieme in seno a una comunità universitaria e cittadina basate sul rispetto e sulla capacità di tutelare e garantire i diritti naturali, primo fra tutti quello di pensare liberamente. Il filosofo Kant diceva che “la violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti”, quasi a suggerire un’eco universale che ci consente di udire un appello anche lontanissimo e ci obbliga ad alzare lo sguardo, a non rimanere indifferenti e ad attivarci.

Nelle poche parole che durante la detenzione Patrick ha potuto rivolgere a chi lo ascoltava è racchiuso un desiderio intenso, quello di tornare a studiare, a frequentare i corsi che sono evidentemente riusciti nello scopo prioritario cui l’insegnamento universitario dovrebbe tendere: promuovere la conoscenza e insegnare la complessità, vera sfida per un nuovo umanesimo. Al raggiungimento di tale scopo concorrono il mondo di ogni singola persona, studente o docente che sia, ma anche i piccoli luoghi, le aule universitarie che quotidianamente frequentiamo. In questi giorni le aule sono spesso state evocate, perché sono i luoghi nei quali ricerchiamo uguali opportunità, diritto a stare assieme e a imparare confrontandoci. Il reciproco ascolto, il rapportarsi attento fra chi apprende e chi insegna sono la base fondamentale e necessaria per tendere alla conoscenza, e in nome di questi valori siamo qui oggi, studenti, docenti, personale tecnico-amministrativo, cittadini di una polis orgogliosa della sua università, per far sentire la nostra voce e il nostro sostegno a Patrick: ci siamo, siamo in tanti ad aspettarti, a riporre la nostra fiducia nei saperi, plurali e democratici e a dirti che non sei e non sarai mai solo.

Vorrei concludere questo breve intervento leggendo un passaggio sul concetto di “cittadinanza del mondo”, un concetto che Martha Nussbaum, docente di Diritto ed etica all'Università di Chicago, approfondisce nei suoi scritti. Dice la studiosa nel suo capolavoro "Coltivare l’umanità": “Diventare un cittadino del mondo significa spesso intraprendere un cammino solitario, una sorta di esilio, lontani dalle comodità delle verità certe, dal sentimento rassicurante di essere circondati da persone che condividono le nostre stesse convinzioni e i nostri stessi ideali. […] È nostro compito in qualità di educatori mostrare agli studenti come sia bella e interessante una vita aperta al mondo, quanta soddisfazione si ricavi dall'essere cittadini che si rifiutano di accettare acriticamente le imposizioni altrui, quanto sia affascinante lo studio degli esseri umani in tutta la loro complessità e l’opporsi ai pregiudizi più superficiali, quanta importanza abbia vivere fondandosi sulla ragione piuttosto che sulla sottomissione all'autorità. Abbiamo il dovere di mostrare tutto questo ai nostri studenti, se vogliamo che la democrazia nel nostro paese e in tutto il mondo abbia un futuro” (Martha Nussbaum, Coltivare l’umanità, Carocci, 2006, pp. 95-96).

Patrick tutti noi della comunità Unibo e di questa piazza non ti lasceremo solo, ti aspettiamo al più presto per continuare a crescere, per coltivare insieme l’umano che è in noi.