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La “Fase 2” in Emilia-Romagna e in Lombardia: un modello per tenere sotto controllo le ospedalizzazioni

Nella fase di allentamento del lockdown, in Emilia-Romagna sarebbe necessario ridurre il numero medio di contatti interpersonali di circa il 50% rispetto a quelli pre-lockdown, mentre in Lombardia il numero andrebbe ridotto dell’80% per non rischiare di dover applicare un lockdown completo fino all’estate. Sono gli scenari messi a punto da un progetto interdisciplinare di ricerca coordinato dall’Università di Bologna e dal CMCC


Un progetto coordinato dall’Università di Bologna e dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) ha elaborato diversi possibili scenari di impatto delle misure di distanziamento sociale sulle ospedalizzazioni da Covid-19. Secondo i risultati ottenuti, per mantenere sotto controllo i nuovi ricoveri, in Emilia-Romagna occorrerebbe dimezzare nei prossimi mesi il numero medio di contatti interpersonali giornalieri per ogni cittadino rispetto a quelli pre-lockdown. In Lombardia, dove l’epidemia è stata più violenta, il numero dei contatti dovrebbe ridursi invece dell’80% per ottenere lo stesso risultato.

Lo studio – diffuso online in forma preprint – utilizza un modello matematico inizialmente sviluppato per il contesto cinese e poi adattato dai ricercatori all’ambito lombardo e a quello emiliano-romagnolo, utilizzando i dati dell’epidemia resi disponibili dalla Protezione Civile.

“Ipotizzando diverse misure di distanziamento sociale è possibile prevedere l’impatto che l’epidemia di Covid-19 potrebbe avere sui servizi ospedalieri”, spiega Chiara Reno, prima autrice dello studio e specializzanda in Igiene e Medicina Preventiva all’Università di Bologna. “Questi modelli previsionali possono essere di aiuto per i decisori politici per informare le scelte da compiere nel corso della ‘Fase 2’”.

UN MODELLO PER IL CONTESTO ITALIANO
Per calcolare i diversi scenari relativi alle due regioni italiane maggiormente al centro della diffusione del virus, i ricercatori hanno applicato un’estensione a un modello epidemiologico noto come SIR-SEIR, nel quale la popolazione viene suddivisa in categorie rispetto all’esposizione alla malattia. Questo modello, sviluppato per il contesto cinese, considera diverse categorie: le persone suscettibili all’infezione, le persone esposte al virus, gli infetti sintomatici e asintomatici, gli ospedalizzati e i guariti. Per l’adattamento al contesto italiano, che ha mostrato differenze nelle modalità di presa in carico dei casi Covid-19, è stato necessario espandere il modello aggiungendo un’altra categoria, quella dei pazienti con sintomi lievi che vengono curati a domicilio, che in Italia rappresentano circa il 70% dei casi registrati.

Poiché i dati ufficiali sul numero degli infetti totali non sono affidabili e probabilmente rappresentano solo la punta dell’iceberg, per modellizzare la diffusione della malattia i ricercatori hanno utilizzato come variabile dipendente le ospedalizzazioni. In questo modo il modello permette di calcolare la probabile evoluzione nel tempo dell’epidemia attraverso il ricorso all’ospedale.

GLI SCENARI IN LOMBARDIA E IN EMILIA-ROMAGNA
I diversi scenari ipotizzati si basano sulla riduzione del numero di contatti interpersonali che i cittadini possono avere nella loro vita quotidiana. Partendo da una condizione di normalità con una media di 15 contatti al giorno per persona, in Emilia-Romagna si riuscirebbe a tenere sotto controllo le ospedalizzazioni per COVID-19 riducendo il numero medio di contatti di circa il 50%. Diversa invece la situazione in Lombardia, dove il numero medio di contatti interpersonali andrebbe ridotto dell’80%per non dover applicare nuove misure di quarantena fino all’estate.

Secondo gli studiosi, la differenza tra gli scenari relativi alle due regioni considerate dipende dai numeri iniziali dell’epidemia (a partire dai primi focolai registrati in Lombardia) e probabilmente anche dalle diverse modalità organizzative dei due sistemi sanitari regionali. “Il sistema lombardo, concentrato soprattutto sul ruolo degli ospedali, può contribuire ad aumentare lo stress su queste strutture sanitarie”, spiega Chiara Reno. “Il sistema misto dell’Emilia-Romagna, basato sia sugli ospedali che su reti di supporto territoriali, potrebbe invece aiutare a gestire meglio la diffusione dell’epidemia”.

CONTATTI DA RILEVARE
Gli scenari presentati dai ricercatori si basano su assunti teorici che riguardano i contatti sociali, ma per meglio identificare sotto il profilo epidemiologico la quantità e qualità delle relazioni interpersonali nei vari contesti occorrerà fare ricorso a dati geolocalizzati provenienti dalle reti telefoniche, purché siano validi e riproducibili.

Le informazioni ottenute attraverso le applicazioni mobili potrebbero inoltre avere un’importanza cruciale per l’identificazione e l’isolamento dei nuovi casi: misure essenziali per contenere ulteriormente l’epidemia. È quanto ad esempio realizzato in Corea del Sud, anche se – puntualizzano gli studiosi – un grosso problema che deve essere affrontato su questo punto è il rispetto della privacy dei cittadini.

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
Diffuso online in forma preprint, lo studio si intitola “Forecasting COVID-19-Associated Hospitalizations under Different Levels of Social Distancing in Lombardy and Emilia-Romagna, Northern Italy: Results from an Extended SEIR Compartmental Model”.

Il gruppo di ricerca è stato coordinato dalla professoressa Maria Pia Fantini del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie (DIBINEM) dell’Università di Bologna e dal dottor Antonio Navarra(Presidente del CMCC). Per l’Università di Bologna hanno partecipato Chiara RenoJacopo Lenzi e Davide Gori (DIBINEM) ed Eleonora Barelli (Dipartimento di Fisica e Astronomia). Hanno partecipato inoltre Alessandro Lanza (CMCC), Riccardo Valentini (CMCC) e Biao Tang (York University, Canada; Xi’an Jiaotong University, Cina).