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Dalle grotte alle stelle: con ESA CAVES le spedizioni speleologiche diventano missioni spaziali

Il programma per la formazione degli astronauti promosso dall’Agenzia Spaziale Europea, con un’importante partecipazione dell’Università di Bologna, festeggia dieci anni di attività, tra riconoscimenti e scoperte scientifiche, guardando alle prossime esplorazioni planetarie


L’esplorazione delle cavità sotterranee come campo di addestramento per le missioni spaziali. ESA CAVES, il programma dell’Agenzia Spaziale Europea per la formazione degli astronauti attraverso spedizioni speleologiche, festeggia dieci anni di attività. Dal 2011 ne sono state realizzate sei edizioni che hanno coinvolto 34 astronauti di sei diverse agenzie spaziali: ESA (Europa), NASA (Stati Uniti), JAXA (Giappone), ROSCOSMOS (Russia), CSA (Canada) e CNSA (Cina).

Tutti gli astronauti che hanno partecipato all’iniziativa l’hanno riconosciuta come una delle migliori opportunità di formazione possibili sulla Terra, in un ambiente simile allo spazio. Molti di loro hanno infatti viaggiato in seguito sulla Stazione Spaziale Internazionale o sono stati assegnati a voli nel prossimo futuro. Come Joe Acaba e Jessica Meir, che fanno parte della squadra di astronauti selezionati dalla NASA per tornare sulla Luna con il programma Artemis, a partire dal 2024.

Quella di ESA CAVES è una storia di successo che fin dall’inizio ha visto un ruolo di primo piano dell’Università di Bologna. L’ESA ha infatti affidato importanti incarichi all’interno del programma a due docenti del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali: Francesco Sauro, che è responsabile tecnico del corso, e Jo De Waele, che è invece il responsabile del programma scientifico.

Per celebrare il decennale di ESA CAVES, in questo 2021 che è anche l’Anno Internazionale delle Grotte e del Carsismo, gli studiosi protagonisti del programma hanno pubblicato sulla rivista Acta Astronautica un resoconto di quanto fatto finora e dei possibili passi per il futuro.

L’idea di organizzare spedizioni in grotta per addestrare i futuri astronauti venne proposta per la prima volta nel 2008 da Loredana Bessone, responsabile dei corsi di Human Behaviour and Performance dell’ESA. Furono poi necessari diversi anni di ricerca per trovare luoghi adatti, personale tecnico e scientifico, e per mettere insieme la complessa logistica di un programma così ambizioso. Finalmente, nel 2011 fu realizzata la prima edizione con una spedizione nelle grotte del Supramonte in Sardegna, che venne ripetuta altre quattro volte negli anni successivi. Per l’ultima edizione svolta, nel 2019, ESA CAVES si è invece spostato nelle grandi cavità carsiche al confine tra Italia e Slovenia.

Insieme all'esplorazione degli oceani, la speleologia è una delle ultime frontiere dell'esplorazione sulla Terra, e non a caso ha molte caratteristiche in comune con le attività spaziali. Non solo, infatti, sono indispensabili un alto livello di preparazione tecnica e rigorosi protocolli logistici e scientifici, ma svolgono un ruolo fondamentale anche le dinamiche comportamentali individuali e di squadra.

“Spedizioni in grotte estese richiedono una logistica complessa, una pianificazione dettagliata, competenze multidisciplinari, protocolli di sicurezza minuziosi e lavoro di squadra, e il tutto va adeguatamente preparato tenendo in mente l’analogia con le missioni spaziali, che si basano su protocolli e schemi di apprendimento standardizzati”, spiega Francesco Sauro. “Una volta arrivati sul posto abbiamo poi solo dieci giorni di tempo per insegnare ai partecipanti le tecniche di speleologia fondamentali per esplorare e studiare delle grotte complesse in piena sicurezza: è una grande sfida non solo per gli astronauti, ma anche per chi ha il compito di addestrare ed insegnare”.

Per gli esseri umani, l'esplorazione delle grotte impone isolamento, reclusione, privacy minima, sfide tecniche, attrezzature e forniture limitate, un senso di disconnessione dalla superficie e dalla vita regolare, la mancanza di cicli diurni e la presenza costante di situazioni di rischio. Le sfide e i pericoli che gli astronauti si trovano ad affrontare esplorando il sottosuolo sono reali, le loro risorse sono limitate e il tempo di viaggio attraverso un sistema di grotte è paragonabile a quello delle missioni spaziali. Anche le operazioni di soccorso in caso di emergenza sono molto complesse e lente, e richiedono il coordinamento tra personale addestrato con ruoli complementari, utilizzando attrezzature altamente specializzate e mezzi di comunicazione innovativi.

Oltre a tutto questo, c’è poi l’aspetto scientifico del programma. Così come durante le missioni spaziali gli astronauti svolgono spesso esperimenti di ricerca, anche i partecipanti di ESA CAVES hanno compiti scientifici reali, di monitoraggio dell’ambiente sotterraneo e campionamento delle forme di vita presenti.

“Durante le missioni in grotta, gli astronauti svolgono una complessa serie di indagini scientifiche, guidate da rigidi protocolli e basate su campionamenti, monitoraggi e misurazioni”, conferma Jo De Waele. “Si tratta di attività scientifiche a tutti gli effetti, che hanno portato a conoscere meglio ampi tratti di grotte ancora poco esplorati, e che in alcuni casi hanno prodotto anche scoperte di primo piano: come Alpioniscus sideralis, una nuova specie di crostaceo individuata grazie ai campionamenti fatti dagli astronauti e il cui nome è un omaggio a loro e a tutto il team di ESA CAVES”.

Questo complesso e delicato insieme di attività fornisce agli astronauti esperienze e strumenti applicabili a diversi contesti delle missioni in orbita, dalle attività all’interno della Stazione Spaziale Internazionale alle passeggiate spaziali. E potrebbero rivelarsi preziose anche per future missioni su altri corpi planetari, dalla Luna a Marte e oltre: non solo per attività sulla superficie, ma anche per possibili missioni nel sottosuolo extraterrestre.

Il resoconto delle attività di ESA CAVES è stato pubblicato sulla rivista Acta Astronautica con il titolo “Speleology as an analogue to space exploration: The ESA CAVES training programme”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Francesco Sauro e Jo De Waele del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali.