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Sigarette a riscaldamento del tabacco e rischio per la salute

Una ricerca su modelli animali ha evidenziato che le concentrazioni di prodotti tossici rilasciati sono significativamente inferiori rispetto a quelli prodotti dalle sigarette tradizionali, ma l’utilizzo a lungo termine potrebbe contribuire all’insorgenza di malattie polmonari ostruttive e al rischio di cancro


Un gruppo di ricerca multicentrico guidato da studiosi dell’Università di Bologna ha realizzato il primo studio indipendente su modelli animali destinato ad indagare i possibili effetti dell’esposizione all’aerosol prodotto dalle sigarette a riscaldamento del tabacco. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nicotine and Tobacco Research.

Le sigarette a riscaldamento del tabacco sono dispositivi che, a differenza delle sigarette elettroniche, riscaldano stick di tabacco senza bruciarlo direttamente. Questi dispositivi – tra cui IQOS, utilizzato in questo studio – rilasciano quindi un aerosol che contiene nicotina e altre sostanze chimiche che si trovano anche nelle sigarette classiche, ma in concentrazioni minori.

“Il nostro studio ha confermato che le concentrazioni di prodotti tossici e cancerogeni rilasciati da IQOS sono significativamente inferiori rispetto a quelli prodotti dalle sigarette tradizionali”, spiega Moreno Paolini, professore dell’Università di Bologna che ha coordinato la ricerca. “Tuttavia non possiamo assumere che ad una concentrazione ridotta si associ un rischio minore: per molte sostanze cancerogene non è infatti possibile determinare una soglia al di sotto della quale il rischio sia trascurabile. Inoltre, abbiamo osservato come l’aerosol danneggi il materiale genetico”.

Gli studiosi hanno indagato nel ratto gli effetti dell’esposizione all’aerosol prodotto dalle sigarette a riscaldamento del tabacco. “Le immagini ottenute al microscopio elettronico suggeriscono che l’utilizzo a lungo termine di IQOS potrebbe contribuire all’insorgenza di malattie polmonari ostruttive”, dice Donatella Canistro, ricercatrice dell’Università di Bologna, tra i principali autori dello studio. “Inoltre, nel nostro modello sperimentale sono stati osservati alcuni effetti tossicologici che sappiamo oggi essere associati ad un maggior rischio di tumore, come lo stress ossidativo, il rilascio di fattori pro-infiammatori e il danno a livello del DNA”.

Considerato che è necessario molto tempo perché siano disponibili dati legati a studi sui rischi di tumore a lungo termine, gli studiosi sottolineano l’importanza di continuare a promuovere indagini specifiche sui potenziali effetti tossicologici dell’utilizzo di sigarette a riscaldamento del tabacco. “I dati disponibili ad oggi indicano che non è possibile considerare le sigarette elettroniche, sia quelle tradizionali che quelle a riscaldamento del tabacco, come alternative sicure all’utilizzo delle sigarette a combustione”, dice in conclusione il professor Paolini. “Il loro utilizzo non dovrebbe quindi essere promosso nei percorsi clinici di disassuefazione, né incentivato per le persone più vulnerabili come gli adolescenti e le donne in gravidanza”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nicotine and Tobacco Research con il titolo “Unburned Tobacco Cigarette Smoke Alters Rat Ultrastructural Lung Airways and DNA”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Fabio Vivarelli, Silvia Cirillo, Donatella Canistro, Silvia Granata, Matilde Mussoni, Stefano Girotti, Luca Bolelli, Stefano Sangiorgi, Elida Nora Ferri, Severino Ghini e Moreno Paolini del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie; Paola Franchi e Marco Lucarini del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”; Antonello Lorenzini e Silvia Marchionni del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie; Eleonora Turrini e Carmela Fimognari del Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita; Maria Teresa Rodriguez-Estrada e Dario Mercatante del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari. Hanno inoltre collaborato Sabrina Burattini e Elisabetta Falcieri dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Annamaria Buschini, Mirca Lazzaretti e Sofia Beghi dell’Università degli Studi di Parma e Vincenzo Longo e Morena Gabriele del CNR di Pisa. Allo studio ha partecipato inoltre il gruppo di ricerca diretto dal professor Ryan J. Elias della Penn State University (USA).