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Il telescopio LAMOST fa luce sulla natura delle sorgenti di raggi gamma non ancora identificate

Un team internazionale di astronomi, tra cui ricercatrici e ricercatori italiani dell’Università di Bologna, dell’Università di Torino e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ha svelato la natura di molte sorgenti che emettono raggi gamma, scoprendo che la maggior parte di esse appartiene alla classe dei blazar: galassie attive che ospitano nelle loro regioni centrali un buco nero supermassiccio. I risultati sono stati ottenuti anche grazie alle osservazioni del telescopio LAMOST in Cina


Rappresentazione artistica di un getto di particelle al centro di una galassia attiva (Immagine: ESO / M. Kornmesser)


Uno degli enigmi più intriganti e ancora irrisolti della moderna astronomia nei raggi gamma è la ricerca di controparti a bassa energia - tipicamente nella luce visibile e nelle onde radio - di sorgenti di raggi gamma non identificate. Queste sorgenti compongono circa un terzo di tutti gli oggetti celesti rilevati fino ad oggi dal satellite Fermi della NASA, dedicato allo studio dell’universo nei raggi gamma e lanciato nel 2008.

I blazar sono galassie estremamente rare, alimentate da un buco nero supermassiccio che si trova nelle loro regioni centrali. Il buco nero attira con la sua formidabile forza gravitazionale la materia intorno a sé e ne accelera una parte sparandola verso l’esterno a velocità prossime a quella della luce sotto forma di un potente getto. Le particelle accelerate in questi getti possono emettere radiazione fino ai raggi gamma più energetici: questa radiazione può quindi essere captata nell’ambiente terrestre, compresi gli strumenti a bordo del satellite Fermi.

Poiché la più grande popolazione di sorgenti di raggi gamma conosciute sono blazar, gli astronomi ritengono che anche la maggior parte delle sorgenti di raggi gamma non identificate possa essere ricondotta a emissioni di blazar. Così, diversi astrofisici di tutto il mondo hanno recentemente sviluppato vari metodi per cercare candidati blazar, utilizzando osservazioni a diverse frequenze e procedure statistiche. Tuttavia, gli astronomi possono confermare la natura di queste sorgenti solo osservandole alle frequenze della luce visibile, le stesse a cui sono sensibili i nostri occhi.

Partendo da questa ipotesi, gli studiosi hanno avviato un articolato progetto di ricerca che ha permesso di analizzare centinaia di spettri ottici raccolti grazie al telescopio Large Sky Area Multi-Object Fibre Spectroscopic Telescope (LAMOST) presso la stazione Xinglong, in Cina. In particolare, i ricercatori hanno selezionato un campione di candidati Blazar (Blazar Candidates of Uncertain type, BCUs), tutti appartenenti alla lista di sorgenti ignote scoperte dal satellite Fermi. L'utilizzo dei dati spettroscopici disponibili, grazie all'archivio LAMOST, ha permesso a questo team di ricerca di classificare decine di candidati blazar non ancora confermati. Inoltre, queste osservazioni hanno anche permesso di verificare la natura di altre centinaia di blazar: informazioni preziosissime che consentiranno agli scienziati di determinare le distanze cosmologiche di quelle sorgenti.

"Questa ricerca è un passo avanti fondamentale nell'identificazione delle sorgenti di raggi gamma extragalattiche", dice Harold Peña-Herazo, attualmente in forza all'East Asian Observatory. "Continueremo a esplorare questi formidabili risultati che ci sta fornendo la survey LAMOST negli anni a venire, puntando a scoprire nuovi blazar che emettono raggi gamma e arrivando così ad ottenere una comprensione sempre più accurata del cielo dei raggi gamma".

"Il nostro studio ci ha mostrato un grande potenziale della survey LAMOST - aggiunge Francesco Massaro – e grazie ad esso siamo stati in grado di scoprire alcuni blazar dall'aspetto mutevole: il loro spettro ottico visto nei dataset LAMOST, con nostra grande sorpresa, è completamente diverso da quello disponibile in letteratura. Infine, vale la pena sottolineare che la possibilità di utilizzare le osservazioni LAMOST per stimare le distanze cosmologiche dei blazar è fondamentale per studiare questa popolazione di oggetti celesti così estremi e remoti, la sua evoluzione cosmologica e il contributo dei blazar alla radiazione di fondo nei raggi gamma di origine extragalattica che permea il nostro universo".

"Ho iniziato a lavorare su questa campagna ottica, analizzando i dati spettroscopici, nel 2015", conclude Federica Ricci, ricercatrice al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi" dell’Università di Bologna e associata INAF. "Oggi, grazie alle osservazioni disponibili nell'archivio LAMOST, abbiamo certamente fatto un passo significativo verso l’identificazione delle sorgenti di raggi gamma con i blazar. Prospettive future realizzabili grazie ai set di dati LAMOST riveleranno sicuramente la natura di centinaia di nuovi blazar negli anni a venire".

Il team di ricerca completo è costituito da Harold Peña Herazo (postdoctoral fellow presso l’East Asian Observatory), Francesco Massaro (Università degli Studi di Torino), Minfeng Gu (Osservatorio di Shanghai, Cina), Alessandro Paggi e Marco Landoni (Istituto Nazionale di Astrofisica, INAF), Raffaele D'Abrusco (Center for Astrophysics - Harvard & Smithsonian, Stati Uniti), Federica Ricci (Università di Bologna), Nicola Masetti (Istituto Nazionale di Astrofisica, INAF e Università Andres Bello, Cile) e Vahram Chavushyan (Istituto Nazionale di Astrofisica, Ottica ed Elettronica, INAOE, Messico).

I risultati del team di ricerca sono stati pubblicati in due recenti articoli sulla rivista The Astronomical Journal: "An Optical Overview of Blazars with LAMOST. I. Hunting Changing-look Blazars and New Redshift Estimates" e "An Optical Overview of Blazars with LAMOST. II. Gamma-Ray Blazar Candidates and Updated Classifications". Per l'Università di Bologna ha partecipato Federica Ricci, ricercatrice al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi" e associata INAF.