Il fianco orientale dell’Etna subisce un continuo “scivolamento” verso est, e uno dei “binari che guidano” questo movimento è il sistema di faglie della Pernicana, che rappresenta il limite settentrionale della porzione instabile del vulcano. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment, elaborato da un team di ricercatori dell’Università di Catania, dell’INGV- Osservatorio Etneo, del GFZ German Research Centre for Geosciences di Potsdam (Germania) e dell’Università di Bologna.
Gli studiosi hanno analizzato la sismicità generata dal sistema di faglie nel corso di 20 anni (dal 2000 al 2019), scoprendo come la Pernicana generi un grande numero di “multipletti”, ovvero terremoti che si ripetono, anche a distanza di anni, identici a sé stessi in termini di localizzazione, meccanismo di sorgente e sismogramma.
"Mediante lo studio dei multipletti e grazie all’integrazione dei dati sismici con dati di deformazione del suolo - che sono acquisiti da antenne GPS distribuite lungo i fianchi del vulcano e misurano le variazioni nella forma del vulcano - è stato possibile suddividere la faglia della Pernicana in diverse porzioni che mostrano comportamenti differenti in termini di sismicità e deformazione del suolo", spiegano i ricercatori. "In particolare, è stato notato come la porzione occidentale della faglia, prossima ai centri eruttivi sommitali, mostri una notevole 'segmentazione' in profondità; la porzione centrale, invece, è caratterizzata da un’unica netta superficie di faglia, la cui sismicità è prevalentemente associata ai multipletti, mentre la porzione orientale della faglia, invece, è quasi asismica, non mostra praticamente sismicità".
La presenza di un grande numero di “multipletti” è una caratteristica comune a sistemi di faglie molto attivi come ad esempio la faglia di San Andreas in California: il loro studio permette di ricostruire nel dettaglio la dinamica delle faglie e quindi di capire come, quando e di quanto si muovano.
"Lo studio dei tempi di ricorrenza dei multipletti ha mostrato mancanza di periodicità e basso grado di regolarità in termini di accadimento temporale dei terremoti", aggiungono i ricercatori. "Questo suggerisce come il movimento della faglia, e quindi lo scivolamento del fianco orientale dell’Etna, non derivi da una sollecitazione costante e permanente, come si verifica invece lungo la faglia di San Andreas in seguito allo spostamento relativo tra le placche tettoniche, ma piuttosto da fenomeni scatenanti di natura episodica, legati per esempio alla risalita dei magmi".
La risalita dei magmi, infatti, pressurizza il sistema di alimentazione dell'Etna, con conseguente spinta sul fianco orientale e scivolamento: un fenomeno che a livello macroscopico è stato osservato, ad esempio, durante l’eruzione avvenuta tra il 2002 e 2003.
"Questo studio – commentano in conclusione i ricercatori – mostra come l’identificazione dei terremoti multipletti e la loro integrazione con misure di deformazione del suolo possano aiutare ad investigare la dinamica e la struttura delle faglie in dettaglio, non solo sull’Etna ma in qualunque sistema di faglie attivo sia in aree vulcaniche che tettoniche".
La ricerca è stata pubblicata su Communications Earth & Environment, rivista del gruppo Nature, con il titolo "Repeating earthquakes and ground deformation reveal the structure and triggering mechanisms of the Pernicana fault, Mt. Etna". Allo studio hanno partecipato ricercatori dell’Università di Catania (Andrea Cannata, Adriana Iozzia, Stefano Gresta), dell’INGV - Osservatorio Etneo (Salvatore Alparone, Alessandro Bonforte, Flavio Cannavò, Andrea Ursino), dell’Università di Bologna (Eleonora Rivalta) e del GFZ German Research Centre for Geosciences di Potsdam (Simone Cesca).