Simulazione computerizzata della struttura su larga scala dell'Universo. Il riquadro mostra uno zoom di un ammasso di galassie in cui si osserva un "Megahalo" (emissione arancione, dalle osservazioni LOFAR)
Un gruppo internazionale di astronomi ha individuato quattro casi di ammassi di galassie interamente avvolti da una debole emissione radio che si estende fino alle loro estreme periferie. Queste sorgenti radio – che gli studiosi hanno chiamato “Megahalos” – si estendono per 10 milioni di anni luce e coprono un volume 30 volte più grande rispetto alle sorgenti radio finora note rilevate in ambienti simili.
La ricerca – pubblicata su Nature – è stata realizzata utilizzando dati raccolti dal radiotelescopio LOFAR (Low Frequency Array): i risultati ottenuti suggeriscono che questi “Megahalos”, alimentati dall’energia gravitazionale che modella la struttura dell’universo, potrebbero essere un fenomeno comune in molte parti dell’universo.
“Abbiamo scoperto un acceleratore di particelle di proporzioni cosmologiche e questo studio suggerisce che molti altri ammassi di galassie potrebbero mostrare emissioni su scale così grandi”, commenta Virginia Cuciti, ricercatrice all’Università di Amburgo, alumna dell’Università di Bologna e prima autrice dello studio.
“I risultati ottenuti ci aiutano a capire in che modo l’energia viene dissipata durante la formazione di strutture cosmologiche su larga scala e come le particelle vengono accelerate nel plasma a bassa densità”, aggiunge Franco Vazza, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio.
La materia all’interno dell’universo è distribuita lungo una complessa rete di filamenti che gli astronomi chiamano “ragnatela cosmica” (“cosmic web”). In corrispondenza dei nodi di questa ragnatela, si concentrano ammassi galattici formati da centinaia o anche migliaia di galassie.
Rappresentazione artistica della struttura su larga scala dell'Universo sopra il nucleo del telescopio LOFAR. Il riquadro mostra uno zoom di un ammasso di galassie in cui si osserva un "Megahalo" (emissione arancione, dalle osservazioni LOFAR)
Quando due di questi ammassi di galassie collidono per fondersi in un unico ammasso, si generano eventi tra i più potenti mai avvenuti nell’universo dopo il Big Bang, che rilasciano enormi quantità di energia. In questi casi, gli elettroni vengono accelerati a velocità relativistiche, vicine alla velocità della luce, ed emettono così onde radio che possono essere rilevate dai radiotelescopi.
Analizzando le emissioni registrate dal radiotelescopio LOFAR per 310 ammassi di galassie, gli studiosi hanno così individuato quattro ammassi completamente avvolti da una debole emissione radio, con dimensioni e caratteristiche uniche rispetto alle sorgenti radio conosciute finora.
Queste nuove, enormi emissioni radio – battezzate “Megahalos” – mostrano come gli elettroni relativistici e i campi magnetici possono estendersi ben oltre l’emissione radio osservata comunemente dagli negli ammassi di galassie, e come le loro proprietà mostrano che le condizioni fisiche delle regioni più esterne degli ammassi di galassie sono molto differenti rispetto a quelle centrali.
“Questa scoperta potrebbe essere solo la punta dell’iceberg: con osservazioni più dettagliate, come quelle che potremo avere con il nuovo LOFAR 2.0 e con il radiotelescopio SKA, potremmo essere in grado di individuare un numero maggiore di ammassi di galassie che presentano queste caratteristiche”, dice Francesco De Gasperin, ricercatore dell’INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica, tra gli autori dello studio.
LOFAR è un telescopio realizzato per esplorare l’Universo alle basse frequenze radio (10-240 MHz). È composto da un network di antenne radio pan-europeo, guidato da ASTRON, l’Istituto di Radioastronomia dei Paesi Bassi. All’iniziativa partecipano Italia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Regno Unito e Bulgaria.
Lo studio è stato pubblicato su Nature con il titolo “Galaxy clusters enveloped by vast volumes of relativistic electrons”. Per l’Università di Bologna ha partecipato Franco Vazza, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”.