Il buco nero al centro della galassia M87 (Immagine: Event Horizon Telescope collaboration et al.)
Cosa c’è al centro di un buco nero? Secondo la teoria classica della relatività generale, messa a punto da Einstein, dovrebbe esserci una “singolarità”, cioè una regione in cui lo spazio-tempo e le leggi della fisica cessano di valere. E una “singolarità” compare anche nei modelli cosmologici classici che descrivono l’inizio della vita dell’universo. L’esistenza di questi particolari elementi – le “singolarità” – è uno degli aspetti principali che distingue la relatività generale da altri modelli che descrivono la natura, come la fisica quantistica.
Con un articolo pubblicato sulla rivista Nuclear Physics B, un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna e dell’INFN ha però ora mostrato che queste disparità tra rami diversi della fisica potrebbero essere superate facendo convivere senza contraddizioni le singolarità anche nel campo della fisica quantistica.
“Nessuna descrizione della natura a nostra disposizione può dirsi completa: ogni teoria ha un suo dominio di applicabilità oltre al quale perde di efficacia e le sue previsioni non hanno più senso”, spiega Roberto Casadio, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio.
Un esempio è quello delle teorie di Newton, che ancora oggi vengono utilizzate per lanciare i razzi nello spazio, ma perdono di utilità quando ci si trova a descrivere fenomeni molto piccoli o estremamente grandi. Gli studiosi hanno quindi cercato di capire se l’esistenza delle singolarità dello spazio-tempo può essere prevista anche quando si entra nel campo della descrizione della gravità a livello quantistico.
“Oggi c’è un consenso diffuso sulla necessità di descrivere anche la gravità, al pari delle altre forze della natura, come un fenomeno quantistico, ma non esiste una formulazione della gravità quantistica che sia accettata universalmente”, dice ancora Casadio. “In questo senso, la presenza delle singolarità nella relatività generale, la teoria che riesce a descrivere meglio le interazioni gravitazionali, è un ostacolo che ci impedisce di arrivare ad una piena comprensione dei fenomeni naturali”.
Uno spazio con una singolarità può essere rappresentato come un foglio di carta con un piccolo foro. La punta di una penna che scorre sul foglio è il movimento di una particella, ma quando si arriva al foro la penna si ferma e la particella improvvisamente scompare. Il fatto che le leggi della fisica cessino di valere quando compare una singolarità porta con sé una serie di domande ancora senza risposta, ad esempio cosa succede a una particella che cade nel centro di un buco nero, oppure cosa è davvero accaduto all’inizio dell’universo.
Per tentare di superare questo ostacolo, gli studiosi dell’Alma Mater hanno proposto un approccio innovativo che permette di descrivere anche la gravità facendo uso della teoria quantistica dei campi, il sistema che combina la meccanica quantistica con la relatività ristretta per dare vita al modello standard della fisica delle particelle. Il risultato è un oggetto matematico che permette di indicare la presenza di singolarità in quantità misurabili in via sperimentale. Questo oggetto – chiamato “functional winding number” – è diverso da zero in presenza di singolarità, mentre si annulla in loro assenza.
Applicando questo strumento, i ricercatori hanno mostrato la natura sostanzialmente innocua di alcune singolarità dello spazio-tempo, che non hanno effetti su quantità in linea di principio misurabili sperimentalmente. In altre parole, è possibile “convivere” con le singolarità senza contraddizioni.
“Se la validità del nostro approccio venisse confermata, potrebbe suggerire l’esistenza di un principio fisico molto profondo, con conseguenze rilevanti per la nostra comprensione dell’universo, anche oltre al tema delle singolarità”, conclude Casadio.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nuclear Physics B con il titolo “Covariant singularities in quantum field theory and quantum gravity”. Gli autori sono Roberto Casadio, Alexander Kamenshchik e Iberê Kuntz del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e affiliati alla Sezione di Bologna dell’INFN – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.