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Alla ricerca del “DNA chimico” delle stelle, per ricostruire la storia della formazione della Via Lattea

Grazie al Very Large Telescope dell’ESO, un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna e dell’INAF svelerà gli elementi chimici presenti all’interno di 17 antichissimi ammassi stellari, ottenendo così informazioni fondamentali sul processo di formazione della nostra galassia


Uno dei quattro telescopi ottici (chiamato "Yepun") del Very Large Telescope (VLT) durante un'osservazione del centro della Via Lattea (Foto: ESO/Yuri Beletsky)


Così come l'impronta genetica degli esseri viventi è impressa nel loro DNA, anche per le stelle esiste qualcosa di simile: un "DNA chimico" nel quale sono impresse le caratteristiche dell'ambiente in cui si sono formate. Un nuovo progetto di ricerca che coinvolge studiosi dell’Università di Bologna e dell’INAF andrà alla ricerca di questo DNA chimico all’interno di 17 antichissimi ammassi stellari (formatisi 12 miliardi di anni fa) con l’obiettivo di scoprire la loro origine.

Il progetto – intitolato "Probing the early history of the Milky Way assembling with the chemical DNA of Bulge stellar systems" – ha ottenuto (attraverso una selezione altamente competitiva) ben 255 ore di osservazione con il Very Large Telescope (VLT) dell'ESO (European Southern Observatory), uno dei più grandi telescopi terrestri, situato nel deserto di Atacama, in Cile. Si tratta di una delle più rilevanti assegnazioni di tempo di osservazione ottenute da un proponente italiano: le osservazioni si svolgeranno tra l’aprile di quest’anno e il settembre 2024.

"Le atmosfere delle stelle mantengono memoria dell'ambiente da cui si sono formate: riuscire a determinare le abbondanze di alcuni elementi chimici al loro interno ci permette quindi di stabilire come si sono nate", spiega Francesco Ferraro, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi" dell’Università di Bologna, che coordina il progetto. "Con un programma di osservazioni senza precedenti, studieremo una serie di ammassi stellari che si trovano nel cuore della Via Lattea e questo ci permetterà di ottenere informazioni fondamentali sul processo di formazione della nostra galassia".

Una delle ipotesi più affascinanti che il progetto esplorerà è la possibilità che il nucleo della Via Lattea sia nato dalla fusione di grandi agglomerati di gas e stelle, che dopo essersi mescolati, si sono dissolti. Il ritrovamento di “frammenti fossili“ di questi giganteschi sistemi scampati alla distruzione (oggi simili a normali ammassi stellari) forniranno informazioni preziose sulle primissime fasi della storia della nostra galassia.

C'è però un problema: questi sistemi stellari si trovano in una delle regioni più opache e inaccessibili della Via Lattea, dove spesse nubi di polvere oscurano fortemente la luce stellare. A causa di queste nubi, la luce visibile che riusciamo a percepire è fino a diecimila volte più debole di quanto sia in realtà.


Per superare questo ostacolo, gli studiosi sfrutteranno le proprietà della luce infrarossa, che è in grado di penetrare efficientemente anche all'interno delle nubi di polvere. È qui che entra in gioco il Very Large Telescope. Il grande telescopio cileno operato dall'ESO monta infatti uno spettrografo chiamato CRIRES+ (CRyogenic high-resolution InfraRed Eshell Spectrograph): recentemente rinnovato e potenziato, questo strumento permette di ottenere "spettri" ad alta risoluzione di stelle anche molto oscurate.

Misurando i livelli di radiazione elettromagnetica assorbita in determinati intervalli di lunghezze d’onda, gli spettri stellari mostrano righe di assorbimento specifiche a cui corrispondono diversi elementi chimici. In questo modo gli studiosi riusciranno a individuare il DNA chimico delle stelle osservate.

"Ogni elemento chimico presente nell'atmosfera stellare lascia una sorta di impronta digitale che permette di identificare in maniera univoca la sua presenza", conferma Ferraro. "Dall'analisi quantitativa di queste righe di assorbimento è quindi possibile identificare non solo la presenza ma anche l’abbondanza di uno specifico elemento chimico nelle atmosfere delle stelle verso cui punteremo il telescopio".

Promosso dall'ESO, il progetto "Probing the early history of the Milky Way assembling with the chemical DNA of Bulge stellar systems" è guidato da un team di studiosi dell'Università di Bologna – Francesco R. Ferraro, Barbara Lanzoni, Alessio Mucciarelli, Cristina Pallanca, Mario Cadelano, Chiara Crociati, Silvia Leanza, Deimer Garay – insieme a Cristiano Fanelli, Emanuele Dalessandro, Donatella Romano, Davide Massari dell’INAF - Istituto Nazionale di Astrofisica, e a Elena Valenti di ESO.