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Le nuove sonde cosmologiche per misurare l’universo che si espande

Dalle onde gravitazionali, ai vuoti cosmici, dai quasar alla cosmografia time-delay, dalla brillanza superficiale delle galassie ai cronometri cosmici: una nuova analisi presenta i diversi metodi innovativi che possono essere utilizzati per cercare di rispondere alle tante domande ancora aperte sulla formazione e l’evoluzione dell’universo


Cronometri cosmici, quasar, lampi gamma, onde gravitazionali. E ancora, cosmografia time-delay, strong lensing gravitazionale, vuoti cosmici, mappe di intensità dall'idrogeno neutro, brillanza superficiale delle galassie, età stellare, clustering delle candele standard, redshift drift. Di cosa stiamo parlando? Sono tutti nuovi metodi che permettono di misurare l’espansione dell’Universo.

Un gruppo internazionale di studiosi li ha raccolti per la rivista Living Reviews in Relativity, esplorando le diverse possibilità offerte e mettendo in luce, per ognuna di queste nuove tecniche, la loro efficacia, le possibili sinergie e le loro potenzialità guardando al futuro della ricerca cosmologica.

"Le sonde cosmologiche tradizionali, ovvero i metodi e gli strumenti che per quasi un secolo ci hanno permesso di studiare l’espansione dell’Universo, sembrano oggi vicine ai loro limiti in termini di capacità di analisi", dice Michele Moresco, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi" dell’Università di Bologna, che ha coordinato l’iniziativa. "Servono quindi nuove sonde cosmologiche indipendenti, che possano aiutarci nel trovare risposte alle tante domande ancora aperte sulla formazione e l’evoluzione dell’Universo".

Una svolta fondamentale in questo senso è arrivata alla fine del secolo scorso con la scoperta dell’energia oscura, che valse un premio Nobel per i suoi autori: Saul Perlmutter, Brian Schimdt e Adam Reiss. I tre studiosi scoprirono che l’espansione dell’Universo – individuata per la prima volta da Edwin Hubble nel 1929 – non era dominata dalla materia (gas, stelle, galassie), ma da una componente misteriosa e dal suo comportamento peculiare. Questa componente – chiamata appunto "energia oscura" – è oggi considerata la principale responsabile dell’espansione dell’Universo, tanto da rendere questa espansione addirittura accelerata.

Le misure più recenti mostrano infatti che la velocità con cui l’universo si sta espandendo – nota come “costante di Hubble” – varia a seconda del tipo di sonda cosmologica che si utilizza. Guardando nell’Universo vicino, un metodo molto utilizzato è lo studio delle supernove: esplosioni di stelle giunte alla fine della loro vita, che proprio per la loro grande luminosità sono un ottimo punto di riferimento. Dall’altro lato, nell’Universo estremamente lontano è possibile registrare la radiazione cosmica di fondo: il residuo del Big Bang che pervade il cosmo sotto forma di microonde. Il problema è che quando si cerca di calcolare la velocità di espansione dell’universo con questi due metodi emergono misure tra loro incompatibili. La "costante di Hubble" si trasforma così nella "tensione di Hubble".

"Quale sia l’origine di queste differenze è tutt’ora un mistero", spiega Moresco. "Da una parte potrebbero esserci effetti sistematici che influiscono sull'una o sull'altra misura, ma è un’ipotesi al momento rigettata da una serie di rianalisi; dall'altra, se questa tensione fosse confermata, farebbe emergere un'evidente necessità di ampliare il nostro paradigma scientifico, potenzialmente introducendo nuova fisica".

È proprio da questa tensione irrisolta che è nata la necessità di cercare nuovi strumenti per misurare l’universo che si espande. Il lavoro degli studiosi offre quindi una panoramica dettagliata sulle possibili sonde cosmologiche alternative a quelle fino ad oggi più diffuse e utilizzate. Dalle onde gravitazionali, ai vuoti cosmici, dai quasar alla cosmografia time-delay, dalla brillanza superficiale delle galassie ai cronometri cosmici: per ognuno dei tanti strumenti individuati vengono analizzate le caratteristiche, i punti di forza e di debolezza, in modo da presentare le alternative disponibili per indagare l’espansione dell’universo.

Il lavoro – pubblicato su Living Reviews in Relativity con il titolo "Unveiling the Universe with emerging cosmological probes" – è stato coordinato da Michele Moresco, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi" dell’Università di Bologna.