Utilizzando tecniche di analisi statistica avanzate, come l’analisi fattoriale e il machine learning, un gruppo internazionale di ricerca è arrivato a proporre una nuova definizione di "long COVID", basata sull’associazione dei sintomi e sull’impatto sulla qualità della vita dei pazienti a 12 mesi dalla infezione acuta. Inoltre, è stato identificato un "long COVID grave" che, a 12 mesi dalla infezione da SARS-CoV-2, vede la persistenza di sintomi respiratori associati ad astenia (uno stato di debolezza generale) e dolore cronico. Le donne purtroppo hanno un rischio tre volte maggiore degli uomini di long COVID grave. Essere stati vaccinati riduce il rischio di affaticamento e dolore cronico, e di long COVID grave.
Lo studio - pubblicato sulla rivista eClinical Medicine - è nato nell'ambito del progetto di ricerca europeo ORCHESTRA, finanziato da Horizon 2020 e coordinato dall'Università di Verona. L'Università di Bologna è tra i partner del progetto: sono coinvolti il Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche e il Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie, insieme all'IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna - Policlinico di Sant'Orsola e all'IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna. Responsabile scientifico per l'Alma Mater è Pierluigi Viale, professore ordinario di Malattie Infettive e direttore del Dipartimento Interaziendale AUSL di Bologna per la Gestione Integrata del Rischio Infettivo.
I ricercatori hanno realizzato uno studio prospettico multicentrico, condotto dal febbraio 2020 al giugno 2022, in cui sono stati arruolati pazienti affetti da SARS-CoV-2, sia ambulatoriali che ricoverati, seguiti con visite cliniche e prelievi di laboratorio a 3, 6 e 12 mesi dalla diagnosi. Sono state valutate le caratteristiche cliniche e biochimiche, la risposta degli anticorpi, le varianti virali di interesse e la qualità della vita fisica e mentale dei pazienti. L'obiettivo principale era identificare i fattori di rischio e protettivi per l’insorgenza della sindrome long COVID in base alle caratteristiche del paziente e delle comorbidità, alla gravità della malattia COVID, al trattamento e allo stato di vaccinazione.
I risultati ottenuti mettono in luce nuove evidenze che permettono di affermare che la sindrome long COVID può essere classificata in base alla combinazione di sintomi, con un diverso impatto sulla qualità della vita fisica e mentale e differenti meccanismi patogenetici, come dimostrato dall’analisi dei fattori di rischio e di protezione associati a ciascun quadro clinico e alla sindrome long COVID grave.
Dei 1796 pazienti arruolati, 1030 (57%) hanno riportato almeno un sintomo riconducibile alla sindrome long COVID, dopo 12 mesi: le condizioni cliniche sottostanti più frequentemente riportate sono le malattie cardiovascolari (710 pazienti, 40%).
Sono stati indentificati quattro quadri clinici differenti: la sindrome da affaticamento cronico (stanchezza, mal di testa e perdita di memoria), la sindrome respiratoria (tosse e dispnea), la sindrome del dolore cronico (artralgia e mialgia) e la sindrome neurosensoriale (alterazione del gusto e dell'olfatto). Con diversi fattori di rischio: le donne hanno un rischio aumentato di dolore e fatica cronica e sintomi neurologici; i pazienti con condizioni respiratorie preesistenti (come la broncopneumopatia cronica ostruttiva) hanno un rischio aumentato di peggioramento dei sintomi respiratori già presenti; i sintomi all’esordio del COVID possono essere un segnale precoce di futuro long COVID: i sintomi neurologici aumentano il rischio non solo di long COVID neurologico ma anche di sintomi respiratori e di astenia cronica, mentre i disturbi gastrointestinali si associano a fatica cronica.
La riduzione più significativa della qualità della vita fisica e mentale è stata osservata nei pazienti con sintomi respiratori e sindrome del dolore cronico, mentre è stato osservato che per le donne i sintomi gastrointestinali e complicazioni renali durante l'infezione acuta aumentano il rischio di sindrome long COVID grave.
Tra i fattori protettivi aver ricevuto terapia steroidea durante la fase acuta della malattia ridurrebbe il rischio di persistenza di disturbi neurosensoriali, quali le alterazioni del gusto e dell’olfatto, mentre la terapia precoce con anticorpi monoclonali nei pazienti con altre comorbidità limiterebbe tutte le manifestazioni di long COVID.
Nel complesso, si tratta di risultati che possono contribuire alla progettazione di studi sulla patogenesi e alla selezione di pazienti ad alto rischio per includerli in studi clinici di nuovi farmaci per la cura del long COVID. Inoltre, gli esiti dello studio potrebbero supportare campagne di sensibilizzazione e orientare le politiche sanitarie per il controllo del COVID.