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Ai confini del senso: in viaggio tra schizofrenia e creatività

Nell'ambito dell'iniziativa @UniboPER/PhD Storytelling, Luigi Lobaccaro, dottorato in Philosophy, Science, Cognition and Semiotics presso il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione, ci introduce alla ricerca sulla schizofrenia proponendo una metodologia interdisciplinare per aumentare la comprensibilità di un’esperienza da sempre considerata radicalmente altra


La rassegna delle storie di ricerca raccontate da giovani protagonisti nasce dall'iniziativa @UniboPER/PhD Storytelling, che ha visto dottorande e dottorandi confrontarsi con esperti di divulgazione, professionisti di UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici) e di UniboMagazine. Autore di questo articolo è Luigi Lobaccaro, dottore di ricerca in Philosophy, Science, Cognition and Semiotics.


Un secolo fa, nel 1919, un grande pubblico si raccolse in un albergo svizzero per assistere allo spettacolo del ballerino russo Vaslav Nijinsky. Vaslav, nei dieci anni precedenti, aveva calcato i più importanti palchi del mondo. Era un idolo, adorato dal pubblico per la bellezza della sua danza, per il dono di incarnare il movimento con una forza istintiva. Nijinsky è tuttora considerato il “dio della danza”.

Quel giorno, anziché danzare sedette sul palcoscenico e, con aria distante, scrutò lungamente il pubblico allibito. Una ventina di minuti più tardi si mosse, prese due strisce di velluto, formò con esse una croce sull’assito e disse: “Ora ballerò la guerra”. Poi danzò con movimenti selvaggi e improvvisati. Fu il suo ultimo spettacolo. Una voce esplose nella sua testa. In quella voce udì un dio che gli mostrò l’abisso.

È il marzo del 1919 quando i suoi Diari si interrompono. Vaslav fu dichiarato schizofrenico. Nei successivi trent’anni non ha più mosso un passo di danza e ha parlato a stento. Cosa può spingere un uomo così innamorato della danza e della vita al silenzio immobile?

La schizofrenia è un disturbo totalizzante che colpisce l’uomo al suo nucleo, sciogliendo l’inestricabile nodo che intreccia corpo, emozione, linguaggio, percezione, socialità e identità, ed è considerata uno dei più grandi e insondabili misteri dell’intera impresa conoscitiva umana.

Al momento, non conosciamo le cause del disturbo, non sappiamo come curarlo in maniera definitiva e spesso è difficile anche solo riconoscerlo. I costi associati in termini di vite umane, di spese sanitarie, di sofferenza dei soggetti e delle famiglie sono immensi. Basti pensare che quasi l’1% della popolazione mondiale soffre di schizofrenia: si tratta circa dello stesso numero di abitanti dell’Italia.

Mondo altro, territorio sconosciuto, oggetto indescrivibile, sono solo alcuni dei termini che ricorrono nella letteratura psichiatrica per descrivere la difficoltà di comprendere il disturbo e le esperienze che lo contraddistinguono: allucinare voci malvagie o angeliche; percepire i propri pensieri come se fossero di altri; cogliere nelle forme e nei colori degli oggetti l’ombra inquietante dell’apocalisse.

Troppo spesso, e troppo affrettatamente, si è preteso di risolvere il problema della scarsa conoscenza della patologia relegandola all’interno di un paradigma che marca la schizofrenia come illogica e irrazionale. Troppo a lungo, la nostra cultura ha pensato a questo territorio sconosciuto come al regno dell’insensato.

È necessario varcare questo confine con la ricerca, entrare in questo mondo e tentare di mapparlo localmente man mano che si progredisce nell’indagine, costruendo strumenti che permettano un orientamento provvisorio ma efficace. La schizofrenia non è il dominio del non-senso, ma un paesaggio diverso, illuminato da una luce crepuscolare e ancora inesplorato, dove è possibile muoversi costruendo commisurazioni fra i linguaggi, istituendo codici, interpretando.

L’impresa necessita di uno sguardo interdisciplinare in cui alle ricerche più avanzate della psicopatologia e delle scienze cognitive deve essere affiancato quello sguardo che più di altri si è interrogato sul senso, sulla significazione, sulla comunicazione e sul modo in cui comprendiamo il mondo: quello della semiotica, la disciplina di Umberto Eco. Come Vaslav, altri grandi poeti, filosofi, artisti, scienziati, come Dino Campana, Antonin Artaud, Antonio Ligabue e John Nash, hanno sofferto di schizofrenia per tutta la vita, cercando di combatterla con il potere della parola.

A partire da queste parole ricavate da numerosi testi autobiografici di pazienti, report psichiatrici, film e romanzi sul tema, la mia ricerca propone un percorso di indagine che si muove dal generale al particolare: in una prima fase ho indagato i legami tra schizofrenia e cultura attraverso la storia della definizione di questa patologia, mostrando come la schizofrenia sia spesso rappresentata in articoli di giornale, cinema, letteratura, resoconti psichiatrici, come una forma di anti-razionalità e di insensatezza. In una seconda fase, ho proposto l’analisi di come gli schizofrenici danno senso al loro mondo, mostrando come in realtà essi presentino una nascosta logica interna.


Il linguaggio schizofrenico può essere letto come una forma di iper-funzionamento delle normali modalità espressive legato ad una separazione dalle regole condivise da una comunità, le narrazioni schizofreniche come un tentativo di organizzare un’esperienza sfuggente e ambivalente, i deliri come soluzioni creative a delle specifiche alterazioni della percezione di sé e del mondo.

L’obiettivo dell’intera ricerca è stato quello di fornire attraverso le metodologie delle humanities degli strumenti utili anche in ambito clinico. Il desiderio che guida la ricerca è di costruire comprensibilità nell’incomprensibilità e di rintracciare nelle parole, troppo spesso inascoltate e ridotte a silenzio nei sistemi di cura, una possibilità di senso, di significato, presente ma sepolto sotto il peso della presunta razionalità di coloro che si proclamano sani.