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Nuove tecnologie per lo sviluppo di Vertical Farm in Italia

L'obiettivo del progetto di ricerca” Sustainable Vertical farming”, coordinato dal Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari - DISTAL, è quello di trovare soluzioni innovative, semplificate e a basso costo per ottimizzare le risorse energetiche e incentivare la crescita dei sistemi di Vertical farming

Partito nel 2022, coinvolgendo anche le università di Napoli, Torino e Padova, il progetto di ricerca Sustainable Vertical farming è coordinato dal prof. Francesco Orsini del Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari - DISTAL, con l'obiettivo di far fronte ai cambiamenti climatici proponendo soluzioni innovative per lo sviluppo di Vertical Farm in Italia.

Le Vertical farm - dette anche Pfals – consentono la coltivazione di piante su più livelli sovrapposti, e permettono di controllare la crescita delle piante intervenendo sulle condizioni ambientali, a prescindere dal clima esterno sempre più mutevole tanto da compromettere le risorse idriche a disposizione.

“Tra i nostri obiettivi - racconta il prof. Orsini - c'è quello di ottimizzare l'uso delle risorse energetiche, nutrienti e idriche e diversificare la produzione verso piccoli frutti, specie tropicali esotiche e piante medicinali da cui estrarre principi attivi destinati ad un uso cosmetico e farmaceutico. Oggi in Italia si coltiva prevalentemente lattuga nelle Vertical farm; qualche azienda si è lanciata sulla produzione di fragole, ma con risultati ancora limitati. Tuttavia, occorre sapere che non tutte le colture possono essere traghettate, ad oggi, verso questo sistema e passerà ancora del tempo prima che si riescano a coltivare con questa modalità cereali o alberi da frutto. Ma per quanto riguarda l’orticultura, ciò che attualmente si produce in serra, potrebbe trovare applicazioni interessanti nel Vertical farming”.

Grazie ai sistemi di irrigazione a ciclo chiuso e alle possibilità di recupero dell’umidità atmosferica, con le Vertical farm si possono produrre potenzialmente grandi quantità in superfici ridotte, con un consumo di acqua abbattuto del 95%. Inoltre, la produzione può essere garantita vicino ai centri nei quali il cibo viene consumato in modo da ridurre i tempi di trasporto e permettendo che i prodotti arrivino a destinazione più freschi. Infine, dato che la coltivazione avviene in luoghi chiusi in cui non entrano parassiti è fortemente ridotto o eliminato l’uso di pesticidi.

Soprattutto in ambienti soggetti a calore estremo e a rischio di scarsità idrica – come nella penisola Araba - questa tecnologia si sta diffondendo velocemente, dato che nelle Vertical farm la cella di coltivazione (opaca alla radiazione solare e isolata termicamente) consente di mantenere temperature stabili indipendentemente dal clima esterno.

E' quindi importante continuare a lavorare, anche in Italia, dal punto di vista tecnologico per la riduzione dei consumi energetici – negli ultimi anni diminuiti sensibilmente e fino al 90% rispetto alle prime tecnologie - che, a loro volta, hanno un impatto sull’ambiente. Attualmente, infatti, le tecnologie legate al Vertical farming si stanno sviluppando prevalentemente nel Nord Europa, negli Stati Uniti, in Giappone, ovvero in economie molto ricche dove crescono maggiormente proprio grazie ad una superiore capacità di investimento.

I costi sono ancora molto elevati (1500-3000 euro al metro quadro di superficie coltivata), ma questo sistema, a regime, potrebbe avere ricadute importanti sull’occupazione. Ad esempio, in Giappone, una Vertical farm che necessiti di operatori, ne impiega anche 300 all’ettaro. Diversamente, in Italia e in Europa, un ettaro di serra impiega tra i 4 e i 10 operatori, generalmente. Infine, nei paesi più poveri, la Vertical farm può essere un volano per l’occupazione.

“È importante ragionare sulla generazione di lavoro, - spiega Orsini - perché nelle vertical farm è possibile impiegare persone a rischio esclusione, dato che le mansioni sono piuttosto semplici. Motivo per cui in alcuni territori questo sistema si rivela un’opportunità anche sotto il punto di vista occupazionale e di riscatto sociale. In sintesi, entrambe le tipologie di sistemi – molto automatizzati o più manuali – hanno pregi e difetti, a seconda delle circostanze di partenza dei territori in cui vengono realizzate e degli obiettivi che si intende raggiungere. Esistono esempi di tecnologie realizzate negli slums di Nairobi o nel nord-Est del Brasile tramite impiego di sistemi idroponici semplificati: si è optato a volte per la coltivazione in sacchi utilizzando bottiglie di plastica riciclate ad ospitare le piante e in altri casi, dato che non c’era la plastica, si è utilizzato il bambù. Questo per dire che le possibilità di realizzare sistemi innovativi per la coltivazione in ambiente urbano anche con costi bassi e tecnologie semplificate sono tante, danno ottimi risultati e inoltre hanno una ricaduta sul piano sociale elevata”.


Esistono, inoltre, diverse tipologie di Vertical farm e di varie dimensioni con obiettivi diversi: alcune sono paragonabili a dei frigoriferi casalinghi, pensate per un uso domestico, altre possono essere appese come delle vere e proprie lampade o posizionate su un tavolo, grazie anche all’aspetto curato del design, altre ancora, le più grandi, vengono realizzate in magazzini o container, che, a loro volta, possono essere totalmente automatizzati oppure richiedere l’intervento di operatori.

Gli impieghi delle Vertical farm sono già i più disparati, a seconda delle parti del mondo in cui vengono realizzate: in Giappone sono state inserite in alcuni ospedali con l’obiettivo di fare svolgere attività ai malati, in un’ottica riabilitativa; negli Usa così come in Europa e in Italia, viene richiesto sempre più spesso di fare esperienza nelle scuole. Ma esistono anche ristoranti e bar che avviano le proprie Vertical farms per avere a disposizione frutta e verdura da cucinare o per preparare dei frullati freschi.