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Un viaggio nel tempo tra la flora bolognese, con l’erbario di Ulisse Aldrovandi

Mettendo a confronto tre flore, uno studio guidato dall’Università di Bologna ha esplorato i cambiamenti avvenuti tra le piante del territorio di Bologna negli ultimi cinquecento anni: è l’intervallo temporale più lungo mai analizzato mediante analisi floristiche


Dall'Erbario di Ulisse Aldrovandi. A sinistra, Betula Plinij (Betula pendula Roth): campione del 1551, raccolto sul Monte Capra (442 m s.l.m.), a sud-ovest di Bologna. Oggi, nel luogo non vi sono più le condizioni ambientali idonee alla sua crescita. A destra, Oliua satiua (Olea europaea L.): campione del 1551, raccolto nell’agro bolognese (il territorio di Bologna). La pianta era molto probabilmente coltivata in un oliveto. (Immagine: Biblioteca Universitaria di Bologna - Università di Bologna)


Quanto e come è cambiata la flora del territorio bolognese negli ultimi cinquecento anni? La risposta è custodita nell’erbario del celebre naturalista Ulisse Aldrovandi. Un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna ha confrontato le specie catalogate nel prezioso erbario cinquecentesco con quelle presenti nell’ottocentesca "Flora della Provincia di Bologna", firmata da Girolamo Cocconi, e con più recenti informazioni della Banca Dati della Flora della Regione Emilia-Romagna. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati sulla rivista Royal Society Open Science.

"Grazie all’erbario di Ulisse Aldrovandi, patrimonio della città di Bologna per lascito testamentario dell’autore, è stato possibile ricostruire l’evoluzione della flora spontanea del territorio bolognese nell’arco di cinque secoli: è l’intervallo temporale più lungo mai analizzato mediante analisi floristiche", spiega Juri Nascimbene, professore di Botanica Sistematica al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, che ha coordinato lo studio. "L'analisi ci ha permesso di ottenere informazioni preziose sulle nuove specie emerse negli ultimi secoli e sul comportamento della flora in conseguenza delle modifiche avvenute sul territorio e in campo climatico".

Nel piccolo mondo degli erbari rinascimentali, quello di Ulisse Aldrovandi è il più vasto e il più ricco fra le collezioni della sua epoca, contiene i più antichi campioni d’Europa di parecchie specie esotiche e fu concepito da subito come strumento di lavoro per la comunità scientifica. Le sue raccolte si ispirano al criterio della massima completezza ed esaustività, con l'intento di includere tutte le specie vegetali note, comprese le novità che man mano arrivavano ad Aldrovandi da varie parti del mondo, grazie ad amici, colleghi e collaboratori. Tutto ciò ne fa indiscutibilmente la più importante e pregevole collezione d’erbario del suo periodo.

Gli studiosi hanno quindi messo a confronto le 980 specie presenti nell’erbario di Aldrovandi con le circa 1.700 catalogate trecento anni più tardi dal botanico emiliano Girolamo Cocconi e con le quasi 2.500 mappate oggi dalla Regione Emilia-Romagna nella sua Banca Dati della Flora.

"Questo aumento delle specie catalogate non deve trarci in inganno, perché corrisponde in realtà a un deterioramento della qualità della flora", dice Fabrizio Buldrini, post doc dell'Alma Mater e primo autore dello studio. "Le nuove acquisizioni, specialmente quelle comparse nel XX e XXI secolo, sono infatti quasi sempre specie ruderali ed esotiche: un chiaro indice del forte impatto umano sul territorio".


Dall’analisi è emerso infatti che fra le specie esotiche, quelle di provenienza americana sono cresciute di ben dieci volte dal Rinascimento a oggi: nell’erbario di Ulisse Aldrovandi erano il 4% del totale, oggi sono il 39%.

Un'altra differenza evidente tra il mondo rinascimentale e quello odierno è la presenza, nel '500, della Valle Padusa: l’antica, amplissima area paludosa che dalla costa adriatica si spingeva verso ovest per oltre cento chilometri seguendo il corso del Po. A testimoniarne l'esistenza è l'inclusione nell'erbario di Aldrovandi di diverse specie acquatiche all'epoca diffusissime, alcune delle quali, come ad esempio la scargia (Stratiotes aloides L.), sono da tempo scomparse nella regione e sull'orlo dell’estinzione in tutta Italia.

Già nella flora ottocentesca di Girolamo Cocconi, diverse specie tipiche delle acque limpide non erano più presenti, sostituite da piante d'acqua torbida e in parte inquinata, chiaro indice dell’avanzare delle opere di bonifica e sistemazione idraulica della pianura. Oggi, invece, i canali e le poche aree umide del territorio emiliano-romagnolo sono pressoché privi di vegetazione, mentre le poche specie acquatiche ancora esistenti sono in gran parte esotiche.

L'altro tema centrale che emerge dallo studio è il clima, rispetto al quale le differenze maggiori con la situazione attuale non sono con l'erbario di Aldrovandi, ma con la "Flora della Provincia di Bologna" di Girolamo Cocconi. Il botanico ottocentesco rilevò infatti la presenza di specie che oggi crescono in alta quota ad altitudini molto più basse.

"La 'Flora' del Cocconi, rispetto a quella di Aldrovandi e a quella odierna, si distingue nettamente per la presenza a basse quote di specie di climi freddi", conferma Buldrini. "Questo indica che egli osservò e descrisse una situazione influenzata dalla cosiddetta Piccola Era Glaciale, una fase di clima freddo e arido a livello planetario, databile approssimativamente al periodo compreso tra il 1550 e il 1850, durante la quale vari fiumi europei gelarono molte volte e le carestie si ripeterono per lungo tempo".

Questo cambiamento del clima emerge ad esempio dalla presenza del geranio argentato (Geranium argenteum L.), che oggi vive a quote comprese tra 1700 e 2200 metri, mentre nell’erbario di Cocconi è registrato tra 800 e 900 metri sul livello del mare. Oppure il ranuncolo di monte (Ranunculus montanus L.), che Cocconi trovò a meno di 400 metri di altitudine, mentre oggi cresce tra 1000 e 2500 metri.

"Gli erbari e le flore, oggi purtroppo poco considerati dal punto di vista scientifico, sono fonti importantissime di dati altrimenti non disponibili: solo grazie alle informazioni in essi contenute è possibile farsi un’idea precisa della vegetazione e degli ambienti del passato, della loro evoluzione e trasformazione nel tempo, in relazione ai cambiamenti climatici e all’opera dell’uomo sul territorio", dice in conclusione Nascimbene. "È pertanto indispensabile da un lato conservare gli erbari storici e dall’altro non interrompere la raccolta di nuovi campioni per non privarci nel prossimo futuro di dati preziosi per analizzare le tendenze in un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti globali".

Lo studio è stato pubblicato su Royal Society Open Science con il titolo “Botanical memory: five centuries of floristic changes revealed by a Renaissance herbarium (Ulisse Aldrovandi, 1551–1586)”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Juri Nascimbene, Fabrizio Buldrini e Giovanna Pezzi del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Enrico Muzzi del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, e Umberto Mossetti del Sistema Museale di Ateneo. Hanno partecipato inoltre Alessandro Alessandrini, curatore della Banca dati della Flora della Regione Emilia-Romagna, e Adriano Soldano, il maggiore studioso d’Europa dell’Erbario Aldrovandi.