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I fluidi ricchi di idrogeno e di idrocarburi che risalgono dal sottosuolo possono innescare terremoti

Un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna ha ricostruito per la prima volta come fluidi prodotti dai processi trasformazione delle rocce possano risalire lungo le discontinuità tettoniche e produrre attività sismica in zone di subduzione


Immagine delle rocce antiche di circa 50 milioni di anni fa esposte in superficie nelle Alpi occidentali italiane usate per lo studio (Lanzo Torinese)


Fluidi ricchi in idrogeno e di idrocarburi leggeri prodotti dai processi di trasformazione delle rocce possono risalire dalle profondità terrestri e produrre attività sismica in zone di subduzione, cioè dove due placche convergono e una si inabissa sotto l’altra. A mostrarlo, per la prima volta, è un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna. L’indagine – pubblicata su Nature Communications – è nata dall’analisi di una serie di rocce raccolte in superficie nelle Alpi occidentali italiane.

"Il nostro studio mostra come i fluidi possano risalire lungo le discontinuità tettoniche nelle zone di subduzione, potenzialmente innescando terremoti", spiega Francesco Giuntoli, ricercatore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, primo autore dello studio. "Abbiamo inoltre osservato come i fluidi ricchi in metano e idrogeno possano produrre tali sovrappressioni più facilmente dei semplici fluidi ricchi in acqua".

Campione di roccia spesso come un capello umano, lungo 3 e largo 2 centimetri che permette di essere osservato al microscopio. La roccia mostra frammenti formatisi a causa della sovrapressione dei fluidi ricchi in metano ed idrogeno a profondità comprese tra i 30 e gli 80 chilometri


Questi processi geologici hanno un ruolo importante nel promuovere la migrazione di fonti energetiche nelle zone di convergenza delle placche terrestri. L’energia prodotta si sposta infatti da aree sorgenti profonde verso giacimenti più superficiali, fino alla biosfera del sottosuolo, dove la vita microbica può trarne vantaggio.

I processi metamorfici, ovvero la trasformazione dei minerali che avviene nelle rocce sottoposte ad alte pressioni e ad alte temperature, producono una serie di fluidi che trasportano elementi essenziali per la vita, come il carbonio, l'idrogeno e gli idrocarburi leggeri. Non era però ancora chiaro in che modo questa energia geologica si possa spostare dalle profondità terrestri verso la superficie.

Cristalli di giadeite, caratteristico minerale stabile a profondità maggiori di 30 chilometri nelle zone di subduzione, mostranti zonature di crescita di diverso colore. Immagine ottenuta al microscopio ottico con la catodoluminescenza


Con questa nuova indagine, gli studiosi sono riusciti a ricostruire il percorso dei fluidi metamorfici che, ricchi di idrogeno e idrocarburi leggeri, risalgono fino a profondità comprese tra i 30 e gli 80 chilometri e arrivano a rompere volumi di roccia, generando così attività sismica.

"I risultati che abbiamo ottenuto mostrano come rocce dure ricche in un particolare minerale di alta pressione chiamato onfacite possano frantumarsi a causa della sovrapressione dei fluidi ricchi in metano e idrogeno", conferma Giuntoli. "Questa sovrapressione può nascere dall'accumulo dei fluidi al di sotto di rocce impermeabili, portando a condizioni di pressione dei fluidi sovralitostatica, ovvero superiore alla pressione dovuta al carico delle decine di chilometri di rocce sovrastanti".

Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications con il titolo "Methane-hydrogen-rich fluid migration may trigger seismic failure in subduction zones at forearc depths". L’indagine è nata all’interno del progetto ERC DeepSeep guidato da Alberto Vitale Brovarone, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna.