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Neuropatia ottica ereditaria di Leber: individuate le varianti genetiche che influenzano gli esiti della terapia

L’idebenone – l’unico farmaco approvato per contrastare la malattia degenerativa del nervo ottico che porta alla cecità – è efficace solo nel 50% circa dei pazienti: un nuovo studio rivela che alcune varianti della proteina NQO1 influiscono sull’azione del farmaco, aprendo nuove prospettive per una terapia personalizzata


La neuropatia ottica ereditaria di Leber è una malattia degenerativa del nervo ottico che provoca una progressiva perdita della vista, fino a portare alla cecità. L’unico farmaco approvato per contrastarla si chiama idebenone, ma solo il 50% circa dei pazienti sottoposti alla terapia risponde in modo positivo.

Un nuovo studio pubblicato su Cell Reports Medicine mostra ora il perché: l’efficacia della terapia è correlata alla presenza di diverse varianti genetiche della proteina che rende attivo l’idebenone.

"I risultati di questo lavoro possono avere nell'immediato una ricaduta sulla terapia personalizzata della malattia", spiega Anna Maria Ghelli, professoressa al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell'Università di Bologna, che ha coordinato lo studio. "L’analisi delle varianti nei pazienti può infatti essere effettuata con un semplice test genetico derivato da un prelievo di sangue".

Fino ad oggi non era possibile prevedere se la terapia con idebenone sarebbe stata efficace o meno nei singoli pazienti: gli studi clinici avevano dimostrato che circa la metà rispondeva in modo positivo mentre il restante 50% non mostrava miglioramenti.

Per chiarire queste differenze nella risposta alla terapia, gli studiosi si sono concentrati su una particolare proteina, chiamata NQO1. Analizzando un gruppo di 118 pazienti trattati con idebenone in Italia e in Germania, è emerso che diverse varianti genetiche di NQO1 influiscono sull’efficacia del farmaco: alcune di queste varianti non sono abbastanza efficienti nella loro funzione, mentre altre sono in grado di attivare l’idebenone.

"Questi esiti potrebbero permettere di identificare molecole capaci di stabilizzare e rendere più efficienti le varianti meno attive della proteina”, aggiunge Valerio Carelli, professore al Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università di Bologna, coordinatore dello studio. “In questo modo, si potrebbe ampliare il numero di pazienti che rispondono positivamente alla terapia con idebenone".

I risultati ottenuti sono il frutto di una collaborazione di oltre cinque anni, coordinata da Valerio Carelli e Anna Maria Ghelli, che ha coinvolto gruppi di ricerca italiani ed europei. Questi team studiano da molto tempo, in stretta collaborazione, la neuropatia ottica ereditaria di Leber, unendo competenze di neurologia, genetica, biochimica e biologia cellulare e favorendo la continua comunicazione fra ricerca di base e attività clinica.

Pubblicato sulla rivista Cell Reports Medicine con il titolo "Genetic variants affecting NQO1 protein levels impact the efficacy of idebenone treatment in Leber hereditary optic neuropathy", lo studio è stato realizzato grazie ai finanziamenti della MITOCON (l’organizzazione di riferimento in Italia per le persone affette da malattie mitocondriali) e di progetti di ricerca finanziati dagli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) a cui afferiscono i diversi autori, in particolare all’Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, oltre che dal Ministero dell’Università e della Ricerca.