Tutte le attuali popolazioni umane non africane sono il risultato di suddivisioni avvenute dopo che i loro antenati lasciarono l’Africa, almeno 60 mila anni fa. Queste suddivisioni, tuttavia, non avvennero subito: ci sono voluti altri 20.000 anni, durante i quali tutti i non africani facevano parte di un’unica popolazione. Ma dove hanno vissuto in quel periodo? Un anno fa, questa domanda non avrebbe avuto risposta.
Oggi, invece, è possibile conoscere con precisione il luogo che ospitò la nostra specie e servì da hub per la colonizzazione successiva, grazie ad uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e condotto dai ricercatori del dipartimento di Biologia dell’Università di Padova in collaborazione con il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, l’Università Griffith di Brisbane (Australia), l’Istituto Max Planck di Jena (Germania) e l’Università di Torino.
Gli antenati di tutti gli attuali Eurasiatici, Americani e Oceanici emigrarono dall’Africa tra 70 e 60 mila anni fa. Dopo aver raggiunto l’Eurasia, questi primi coloni non si spinsero immediatamente a colonizzarla nella sua interezza, ma si stabilirono per alcuni millenni in un’area presumibilmente circoscritta, formando una popolazione omogenea. Questo evento, datato circa 45 mila anni fa, pose le basi per la divergenza genetica tra gli attuali Europei e i popoli Est Asiatici.
Alcuni degli autori dello studio avevano già ricostruito le dinamiche che hanno portato alla colonizzazione dell’Eurasia, avvenuta tramite una serie di espansioni distinguibili cronologicamente, geneticamente e culturalmente. Tuttavia, l’area geografica in cui vissero gli antenati di tutti i non africani dopo l’uscita dall’Africa e che servì da hub per le successive espansioni di Homo sapiens è stata oggetto di grande dibattito, che ha portato a ipotizzare gran parte dell’Asia occidentale, il Nord Africa, il subcontinente indiano e il Sud-Est asiatico quali aree potenzialmente idonee.
"In questo lavoro di ricerca abbiamo utilizzato un nuovo approccio genetico e abbiamo identificato nelle popolazioni antiche e moderne dell’altopiano persiano delle tracce genetiche che assomigliano alle caratteristiche della popolazione hub, individuando quindi l’area come la probabile patria di tutti i primi eurasiatici", spiega Leonardo Vallini del dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e primo autore dello studio. "La parte più complessa della nostra ricerca è stata quella di districare i vari strati di informazione costituiti da 45mila anni di movimenti e mescolanze di popolazioni avvenute dopo l’insediamento dell’hub".
La ricerca multidisciplinare ha indagato anche le caratteristiche paleoecologiche dell’area, indicando come già all’epoca presentasse condizioni ambientali adatte all’occupazione umana, e potenzialmente in grado di sostenere una popolazione più numerosa rispetto ad altre parti dell’Asia occidentale.
"L’identificazione dell’altopiano persiano come hub per le prime migrazioni umane apre nuove porte alla ricerca archeologica e paleoantropologica", spiega il coautore Michael Petraglia dell’Università Griffith di Brisbane.
Infatti, l’altopiano persiano sarà al centro del Progetto ERC Synergy LAST NEANDERTHALS, recentemente assegnato al coautore Stefano Benazzi, professore al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna.
"In linea con i risultati dell’articolo – dice Benazzi – questo progetto ERC si propone di esplorare e svelare gli intricati eventi bioculturali verificatisi tra i 60 mila e i 40 mila anni fa, focalizzandosi anche sull’altopiano persiano".
"Con il nostro lavoro abbiamo ricostruito 20 mila anni di storia condivisa da europei, asiatici, nativi americani e oceanici. Questa tappa del viaggio umano fuori dall’Africa è affascinante: è durante questo periodo che abbiamo mescolato i nostri geni con quelli dei Neanderthal", conclude il professor Luca Pagani, coordinatore dello studio e docente del dipartimento di biologia dell’Ateneo patavino.