Immagine: X-ray: NASA/CXC/Univ. of Bologna/F. Ubertosi; Inset Radio: NSF/NRAO/VLBA; Image Processing: NASA/CXC/SAO/N. Wolk
I potenti getti di plasma che vengono espulsi dai buchi neri possono cambiare direzione, come se i buchi neri ruotassero su loro stessi in modo imprevedibile. La scoperta – presentata con un articolo su The Astrophysical Journal – arriva da un gruppo internazionale di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica - INAF.
I ricercatori hanno osservato il comportamento di 16 buchi neri che si trovano al centro di galassie circondate da gas caldo. Ogni buco nero espelle due getti di plasma estremamente potenti in direzioni opposte, che viaggiano a velocità vicine alla velocità della luce.
Grazie a dati ottenuti con il Very Long Baseline Array (VLBA), uno dei più grandi radiotelescopi interferometrici al mondo, gli studiosi hanno analizzato la direzione di questi getti di plasma a una distanza di alcuni anni luce rispetto al centro delle galassie da cui sono partiti. In questo modo hanno potuto osservare la loro attuale direzione.
Utilizzando poi il Chandra X-ray Observatory, un telescopio orbitale della NASA che osserva il cielo nei raggi X, hanno analizzato le coppie di cavità, o bolle, che si generano quando i getti di plasma attraversano la regione di gas caldo attorno alle galassie. In questo modo, i ricercatori hanno potuto comparare le direzioni di queste cavità generate in passato con le direzioni dei getti di plasma ad alcuni anni luce di distanza.
"Circa un terzo dei getti di plasma che abbiamo analizzato puntano in direzioni completamente diverse rispetto al passato", spiega Francesco Ubertosi, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi" dell'Università di Bologna e primo autore dello studio. "Come la Morte Nera di Guerre Stellari, questi buchi neri sembrano insomma ruotare e puntare il loro raggio verso nuove direzioni".
I risultati mostrano che i getti di plasma possono cambiare direzione fino a quasi 90 gradi in un intervallo temporale che va da un milione di anni ad alcune decine di milioni di anni: considerato che i buchi neri osservati hanno probabilmente più di dieci miliardi di anni, questi cambiamenti di direzione sono relativamente veloci.
"I getti di plasma espulsi dai buchi neri e le cavità generate dal loro passaggio all'interno dei gas caldo giocano un ruolo importante nel processo di formazione di nuove stelle all'interno delle galassie", aggiunge Myriam Gitti, professoressa al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi", che ha partecipato allo studio. "Il passaggio di questi getti di plasma inietta energia all'interno del gas caldo dentro e attorno alle galassie, impedendo che si raffreddi e rallentando quindi il processo di formazione stellare: se poi i getti di plasma cambiano anche direzione, possono colpire aree più ampie delle galassie inibendo ulteriormente la nascita di nuove stelle".
Resta però una domanda: come fanno i buchi neri a ruotare in questo modo? Si pensa che la direzione dei getti di plasma sia allineata con l'asse di rotazione e quindi segua una linea che connette i due poli dei buchi neri. Al tempo stesso, attorno ai buchi neri c'è un disco di accrescimento su cui si concentra gran parte del gas e della materia che precipita al loro interno.
"Il flusso di materia che si accumula nel disco di accrescimento e precipita nel buco nero porta probabilmente il getto di plasma che viene espulso dal buco nero ad essere perpendicolare al disco", spiega Fabrizio Brighenti, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi", tra gli autori dello studio. "Ma se altro materiale precipita nel buco nero con angolazioni diverse rispetto al disco di accrescimento, questo potrebbe a lungo andare influire sull'asse di rotazione del buco nero e deviare di conseguenza anche il getto di plasma in una direzione diversa".
Lo studio è stato pubblicato su The Astrophysical Journal con il titolo “Jet Reorientation in Central Galaxies of Clusters and Groups: Insights from VLBA and Chandra Data”. Per l’Università di Bologna e l’Istituto Nazionale di Astrofisica - INAF hanno partecipato Francesco Ubertosi, Myriam Gitti e Fabrizio Brighenti. Hanno partecipato inoltre studiosi del Center for Astrophysics | Harvard & Smithsonian (USA) e del Naval Research Laboratory (USA).