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Due farmaci al prezzo di uno: quando gli effetti collaterali diventano preziosi per l’Alzheimer, e sono gratis

Nell'ambito dell'iniziativa @UniboPER/PhD Storytelling, Maria Giulia Prado, dottoranda di ricerca al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie, racconta di un progetto di ricerca per individuare nuove possibili terapie combinate che, abbinando due farmaci già in commercio, permetta di attaccare il morbo su più fronti


La rassegna delle storie di ricerca raccontate da giovani protagonisti nasce dall'iniziativa @UniboPER/PhD Storytelling, che ha visto dottorande e dottorandi confrontarsi con esperti di divulgazione, professionisti di UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici) e di UniboMagazine. Autore di questo articolo è Maria Giulia Prado, dottoranda di ricerca al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie


Curare l’Alzheimer utilizzando farmaci già impiegati per altre malattie permette di abbattere anche i costi sanitari, oltre al morbo. È l’obiettivo che ci si è posti al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie (FaBiT) dell’Università di Bologna, dove si studiano nuove terapie per la malattia sfruttando le enormi quantità di dati disponibili in rete e in letteratura.

Il progetto "BD4AP: BIG Data for Alzheimer’s disease Polypharmacology", partito nel 2021, è condotto da Maria Laura Bolognesi, Pier Luigi Martelli e Maurizio Recanatini, in collaborazione con Maria Giulia Prado.

Tutti noi conosciamo, almeno per sentito dire, la malattia di Alzheimer: è la forma più comune di demenza, che provoca una perdita di memoria irreversibile, oltre al declino di capacità di ragionamento e linguaggio.

Purtroppo, ad oggi non esiste una terapia che consenta di guarire dall'Alzheimer. Si tratta di una patologia molto complessa, che coinvolge anche il sistema immunitario e il metabolismo. I medicinali disponibili sono pochissimi e non fermano la progressione della malattia: vengono prescritti per alleviare i sintomi, e solo per qualche tempo.

Parte della comunità scientifica sta proponendo una possibile soluzione: abbinare due farmaci già in commercio, per dare vita a una terapia combinata, che permetta di attaccare il morbo su più fronti. Il problema è capire quali, e in quali dosi.

La risposta potrebbe nascondersi nelle banche dati che custodiscono le informazioni scaturite dagli studi degli ultimi decenni. Il portale ADKnowledge, per esempio, conserva dati di migliaia di pazienti Alzheimer. La banca dati DrugBank, invece, condivide tutto ciò che si conosce su oltre 15.000 molecole utilizzate come farmaci in tutto il mondo. E così via.

Maria Giulia Prado e due giovani ricercatori, Elisa Uliassi e Luca Menestrina, stanno sviluppando metodologie per esplorare questi dati ed esaminarli con occhio critico. L’obiettivo è arrivare a proporre una o più coppie di farmaci, da sperimentare poi in laboratorio.

I farmaci candidati, che non avranno interazioni pericolose se usati in coppia, agiranno "rimettendo a posto" i processi chimici del corpo alterati dalla malattia.

Può sembrare semplice selezionare molecole così, ma non lo è affatto. Si tratta di controllare migliaia di informazioni: un compito impossibile senza le moderne tecnologie. Per fortuna, la Regione Emilia-Romagna ha investito le risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE) in "progetti di formazione per la ricerca in Big Data, per una regione europea più ecologica, digitale e resiliente", tra i quali figura anche questo progetto.

Un problema ben conosciuto nell’ambito farmacologico è il costo esorbitante di ogni sperimentazione clinica. I più attenti all’aspetto economico si chiederanno: ma se ci vogliono miliardi per arrivare a commercializzare un singolo principio attivo, figuriamoci due! E avrebbero ragione, se i due farmaci fossero completamente sconosciuti. Invece, se si utilizzano medicinali la cui sicurezza è già assodata, di fatto si risparmiano il tempo e il denaro necessari a verificarla.

Il riposizionamento è la pratica, sempre più comune, di utilizzare i medicinali per curare condizioni diverse da quelle per cui erano stati sviluppati. In questo modo, gli effetti secondari di un farmaco diventano la sua prima linea d’azione, trasformando un comportamento indesiderato in una risorsa.

Un esempio? L’aspirina è conosciuta da tutti per le sue proprietà antinfiammatorie, ed è nostra fedele alleata contro i sintomi del raffreddore. Ha però un effetto spiacevole: rallenta la coagulazione del sangue e può causare emorragie in persone predisposte. Qualcuno ha avuto l’idea di ribaltare il punto di vista: dato che l’aspirina fluidifica il sangue, può essere utile anche per chi non è raffreddato ma è a rischio di ictus. E infatti viene regolarmente prescritta a pazienti cardiopatici.

Il riposizionamento non è un’idea nuova. Ma per la malattia di Alzheimer, potrebbe abbattere i costi proibitivi delle nuove sperimentazioni. Nel 2021, un nuovo farmaco chiamato Aducanumab è stato approvato dall’Agenzia del Farmaco americana (FDA). Purtroppo, il prezzo altissimo lo ha reso inaccessibile ai pazienti, vanificando uno sforzo decennale e miliardi di dollari spesi per gli studi clinici.

La "coppia perfetta" offrirà la possibilità di migliorare la qualità della vita dei pazienti e ritardare la progressione della malattia: se diagnosticata in tempo, potrebbe addirittura essere tenuta sotto controllo. A costo quasi zero.