I sussidi economici sono uno strumento usato ormai da tempo dai governi di tutto il mondo per promuovere la sostenibilità ambientale e la transizione ecologica. Ma quanto sono efficaci? Sono davvero lo strumento migliore per incentivare i cambiamenti necessari sul fronte industriale ed economico?
Con un intervento pubblicato su Science, un gruppo di economisti, ecologi, geografi, psicologi e altri scienziati di fama internazionale affronta questo tema - complesso e sfaccettato - sostenendo che l'uso dei sussidi può portare a conseguenze indesiderate, sia a livello economico che ambientale.
UniboMagazine ne ha parlato con uno degli autori: Alessandro Tavoni, professore al Dipartimento di Scienze Economiche dell'Università di Bologna e Principal Investigator del progetto ERC Green Tipping, che studia soluzioni per promuovere su larga scala cambiamenti in chiave sostenibile nei comportamenti individuali e sociali.
Professor Tavoni, perché si utilizzano i sussidi economici per sostenere la transizione ecologica?
Per affrontare gli impatti del cambiamento climatico e il rischio di perdita di biodiversità, i governi hanno bisogno di strumenti che frenino i danni all'ambiente e incentivino attività economiche con obiettivi sostenibili. In questo senso i sussidi sono una soluzione più semplice da introdurre rispetto a nuove tasse o regolamenti. Devono però essere usati con cautela per evitare che generino effetti negativi.
In che modo possono generare effetti negativi?
È fondamentale considerare le possibili conseguenze sul mercato dell’uso dei sussidi, bilanciando effetti positivi e possibili controindicazioni. Ad esempio, sappiamo che i sussidi tendono a far ridurre i prezzi di mercato, aumentando così produzione e consumi: se applichiamo questo schema alla produzione di energia rinnovabile, rischiamo di produrre un aumento della domanda di energia che avrebbe comunque impatti ambientali importanti.
E gli incentivi per le auto elettriche?
Anche i sussidi che spingono a una maggiore produzione di auto elettriche possono avere effetti negativi, ad esempio aumentando la necessità di estrazione di litio per fabbricare batterie. Inoltre, possono portare a una riduzione dei prezzi e quindi a un aumento di veicoli in circolazione, con conseguente aumento del traffico e degli incidenti. Tutte cose che non accadrebbero se i sussidi andassero a rafforzare invece il trasporto pubblico.
Questo vale soprattutto per i sussidi non legati alla sostenibilità?
Anche quelli possono avere effetti negativi per l’ambiente. Ad esempio, a livello globale c’è ancora oltre 1 trilione di dollari speso in sussidi per sostenere l’industria fossile, che contribuisce all’accelerazione del cambiamento climatico. Ma sappiamo anche che i sussidi all’agricoltura provocano un aumento della deforestazione e dell’inquinamento, mentre quelli a sostegno della pesca contribuiscono all’impoverimento dei mari. E sono tutte misure che, una volta stabilite, è molto difficile eliminare.
Come mai?
Perché una volta avviati, i sussidi tendono a creare gruppi ristretti e potenti di beneficiari che hanno un forte interesse a mantenerli attivi e stringono quindi strette relazioni con i decisori per mantenere lo status quo. Non solo: l’eliminazione dei sussidi può portare ad un aumento dei prezzi, almeno nel breve termine, su beni importanti come il cibo o l’energia, con conseguenti proteste di piazza. È quello che abbiamo visto ad esempio in Equador nel 2019 con l’eliminazione dei sussidi sul carburante o più di recente con la protesta degli agricoltori in Germania, contro la proposta di tagli ai sussidi sul gasolio.
Qual è quindi la soluzione?
I sussidi possono essere strumenti utili per accompagnare la transizione ecologica, ma devono essere progettati con attenzione, incorporando meccanismi per la loro revisione o eliminazione nel lungo termine. Da una prospettiva di efficienza economica, sarebbe meglio tassare le attività che generano effetti negativi, ad esempio attraverso una tassa sul carbonio, ma le tasse sono difficili da vendere…