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Il giorno che una falena mi ha rimproverato

Nell'ambito dell'iniziativa @UniboPER/PhD Storytelling, Maila Cicero, dottoranda in Scienze della Vita, della Terra e dell’Ambiente, racconta, attraverso una intervista immaginaria con una falena, il suo oggetto di studio: gli insetti come bioindicatori della salute di un territorio: ricerca che sta compiendo sull’Appennino toscano, nella zona di Bagni di Lucca

La rassegna delle storie di ricerca raccontate da giovani protagonisti nasce dall'iniziativa @UniboPER/PhD Storytelling, che ha visto dottorande e dottorandi confrontarsi con esperti di divulgazione, professionisti di UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici) e di UniboMagazine. Autore di questo articolo è Maila Cicero, dottoranda in Scienze della Vita, della Terra e dell’Ambiente

 

Signora Falena, mi scusi, posso disturbarla?
Non vede che sto volando per i fatti miei? Ma se proprio deve…


Cercavo le lucciole. Sono tornata apposta, qui, perché ricordo che da bambina, in quelle serate terse di inizio estate, passavo ore e ore a correre dietro alle lucciole. Non sa che divertimento. Mi piacerebbe davvero tanto, riprovare quella sensazione.
Credo stia perdendo tempo. Ormai non se ne vedono più.

Pensavo fossero sparite solo in città. Nemmeno qui, sull’Appennino lucchese, ci sono più?
Pochissime e rarissime.

Mi scusi, ma non capisco, dove sono andate?
Vede, le cose stanno cambiando e molto in fretta. Una volta, qui, a Bagni di Lucca, in mezzo alle montagne, la gente viveva in modo semplice. Una bella casa, un pezzo di terra, un lavoro giù alla cartiera per tirare avanti e sbarcare il lunario. E tutto intorno la bellezza del paesaggio, a fare da cornice. La vegetazione correva folta nella valle del torrente Lima e l’habitat naturale di queste zone era integro e continuo.

Sì, me lo ricordo. Mio nonno mi portava spesso a funghi, nei boschi.
Ecco, dicevo proprio questo. La vita scorreva lentamente, nella sua semplicità. Poi, di punto in bianco, avete iniziato a fare questa cosa strana di costruire un sacco di case, una di fianco all’altra. Avete iniziato a rubare spazio al bosco, tagliando alberi e popolando la Valle di tante luci gialle, che si sono sostituite alle lucciole.

Lei parla di inquinamento luminoso. È il motivo per cui non si vedono neppure le stelle in città.
Oh, sì! Ci sono un sacco di cose che vi state perdendo, senza accorgervene.

Tipo?
Tipo le falene, come me.

Cosa sta succedendo alle falene?
Stiamo scomparendo. Ma visto che non siamo belle e appariscenti come un orso polare o la tigre del Bengala, nessuno si preoccupa di noi. Ha mai visto un annuncio che dicesse “Adotta una falena?”

No, in effetti, non mi pare.
È così. La maggior parte delle persone non sa nemmeno che esistiamo. Eppure, nel gruppo a cui appartengo io, i Nottuidi, siamo più di trentacinquemila specie differenti. All’interno dell’ordine dei Lepidotteri - modestamente - siamo la famiglia con più rappresentanti.

Siete davvero tanti!
Ci può scommettere. Negli anni ’80, hanno provato a contarci, qui a Bagni di Lucca. Sa quante specie hanno trovato? Solo qui?

No, mi dica.
Duecentosessantuno.

Impressionante. Non sono una specialista, ma mi sembra davvero un numero consistente.
Lo è. Nel vostro gergo tecnico direste che questa valle è un hotspot di biodiversità, che vuol dire semplicemente che la vita prolifera nelle sue forme più disparate, differenziandosi e dando prova di quanto può essere complessa e articolata.

Sono affascinata. Non lo sapevo. In effetti sapevo davvero poco, ahimè, di falene. Posso farle una domanda? Forse è un po’ inopportuna...
Lei è un po’ bischera, come diciamo da queste parti... Ma prego, prego, domandi.

Qual è lo scopo ecologico delle falene? Perché siete così importanti?
[Ride, come può ridere una falena]

Questa cosa è molto di voi umani. Chiedersi sempre il senso e lo scopo di tutto! Potrei risponderle semplicemente: che senso ha l’elefante nella savana? Ma voglio provare a spiegarle come in realtà siamo tutti collegati. Esiste un filo di connessione tra tutti gli esseri viventi ed ha a che fare con lo scambio di energia. Lei si ricorda qualcosa di fisica?

L’ho studiata molto tempo fa, ma mi ricordo il principio reso popolare da Lavoisier per cui niente si crea o si distrugge ma tutto si trasforma.
Esatto. Volendo semplificare enormemente: provi ad immaginare un flusso di energia costante, che viene continuamente processato da tutti gli esseri viventi, e viene rimesso in circolo, e quindi a disposizione, di nuovi organismi, senza una fine. Negli animali questo flusso di energia è all’interno della rete trofica, ovvero all’interno di quello che mangiano.

Mi corregga se sbaglio: l’energia che gli animali estraggono dall’ambiente sottoforma di cibo per se stessi, viene rimessa in circolo dagli animali stessi, come altro cibo?
Esattamente. Tenendo a mente quindi questo principio fondamentale, proviamo ad aggiungere un altro tassello: come le avranno spiegato esistono prede e predatori, giusto? L’energia quindi viaggia lungo questa piramide, che vede i produttori primari, ovvero le piante, alla base e i predatori al vertice, mi segue?

Sì, mi ricordo.
Ecco. Noi falene siamo alla base della catena alimentare. Il che vuol dire che all’interno dell’ecosistema veniamo - ahimè - mangiate da numerosi altri animali, come pipistrelli o uccelli notturni. Costituiamo una buona percentuale della loro dieta.

Quindi, con meno falene in giro...
Lo ha capito vero? Il danno non sarebbe solo per la nostra comunità, ma anche per l’intero ecosistema e pian piano entrerebbero in crisi molte altre specie, fino ad arrivare al vertice della piramide.

Ma il problema è l’urbanizzazione?
Le cause che concorrono a questo fenomeno sono diverse.

Mi ha detto la perdita di habitat, poi?
Il caldo. Non sente che caldo fa? Il cambiamento climatico sta prosciugando i fiumi d’estate dove ci abbeveriamo, facendo morire tutte le piante di cui ci nutriamo e cambiando completamente i nostri cicli biologici. Noi siamo esseri semplici, dalla vita breve. Gli effetti che questi cambiamenti hanno sull’ambiente si ripercuotono sulle nostre vite in maniera molto più incisiva rispetto a come farebbero sulla vita di altri animali. Se muoiono tutti i bruchi perché non ci sono più piante nutrici a causa del clima arido, quell’anno lì nessuna falena adulta si riprodurrà e l’anno dopo non ci saranno uova pronte per la schiusa e nessun bruco. Nel giro di un solo anno, potrebbero scomparire intere specie. Per sempre.

Per questo venite usati anche come bioindicatori?
Esatto. Siamo così sensibili a tutto quello che succede intorno a noi, che gli scienziati ci utilizzano per misurare i danni che queste alterazioni climatiche stanno facendo e mi creda, possono essere irreversibili.

Lo capisco. Cavolo, cercavo le lucciole e invece ho trovato delle falene, da salvare.
E ora che ci ha trovate... si dia da fare! Lo faccia per tutti quei piccoli animali dimenticati che non hanno voce e raramente finiscono nei documentari tv sulla natura.

Cara piccola e preziosa falena, puoi contare su di me!