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Breve ma intenso. L'allenamento efficace per uno stile di vita sano

Nell'ambito dell'iniziativa PhD Storytelling Lab, Mario Mauro, dottorando al Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita, racconta i benefici dell'esercizio fisico di breve durata


La rassegna delle storie di ricerca raccontate da giovani protagonisti nasce dall'iniziativa PhD Storytelling, che ha visto dottorande e dottorandi confrontarsi con esperti di divulgazione e comunicazione dell'Università di Bologna e professionisti di UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici). Autore di questo articolo è Mario Mauro, dottorando al Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita

 

Sono sufficienti due allenamenti intensi a settimana, di soli 35 minuti, per indurre benefici alla funzionalità dell’apparato cardio-vascolare, del sistema respiratorio e neuro-muscolare, e ridurre la quantità di tessuto adiposo. L’elevata intensità dell’esercizio fisico di breve durata sembra stimolare l’attività dei mitocondri, le centrali elettriche delle cellule animali, incrementando l’attività metabolica del nostro organismo. A dirlo è uno studio del Dipartimento di Scienze per la Qualità di Vita dell’Università di Bologna, condotto dal chinesiologo Mario Mauro, che mette in luce anche il ruolo dell’intervallo di recupero: parziale o totale?

Il recupero è definito come il tempo che intercorre tra una serie di lavoro e quella successiva, necessario per ripristinare le riserve di carburante utilizzate durante lo sforzo. In questa fase, l’organismo incrementa il flusso di ossigeno e molecole “riparatrici” verso i muscoli attivati, favorendone un ripristino totale o parziale. La prima possibilità si verifica in seguito a soste completamente passive; la seconda richiede una continua e moderata attività del soggetto. L’idea giunge da evidenze scientifiche che dimostrano come l’esercizio aerobico svolto durante il recupero favorisca il trasporto di sostanze “di scarto” che accumulate nel muscolo ne aumentano l’acidità, principale causa della sensazione di affaticamento.

La possibilità di ridurre la fatica percepita prolungando lo sforzo a elevate intensità, ha reso questo metodo molto popolare nei corridori olimpici degli anni ’50. Infatti, il principio del massimo sforzo fu da subito associato al concetto di intervalli di esercizio ripetuti a una intensità “sopra soglia”, ovvero un elevato consumo di ossigeno (anche 20 volte maggiore rispetto a quello di riposo), seguiti da periodi di recupero. La breve durata dello sforzo è conseguenza necessaria dell’elevata intensità prevista.

Immaginiamo di perdere la metropolitana, e di dover correre alla nostra massima velocità per giungere alla fermata successiva, prima del suo arrivo. Ora immaginiamo di perdere anche la seconda coincidenza e continuare a correre. Se le fermate fossero disposte alla stessa distanza l’una dall’altra, non avremmo alcuna speranza di salire sulla metro. Questo perché il nostro cervello capta i segnali di affaticamento periferici, provenienti dalle cellule muscolari, e decelera il movimento durante la corsa. Inoltre, l’impossibilità di colmare le riserve energetiche consumate a causa dell’assenza di tempo per recuperare, amplifica i feedback negativi. La conseguenza è un rapporto con una proporzionalità inversa: maggiore sarà l’intensità richiesta, minore potrà essere il tempo di lavoro totale.

Ad oggi, grazie a dispositivi elettronici che consentono di monitorare facilmente parametri vitali in tempo reale, questo metodo ad alta intensità è ampiamente utilizzato in diverse discipline sportive e corsi di fitness. La sua versatilità permette di indurre le risposte fisiologiche desiderate, modificando uno o più componenti interne, come durata e volume degli esercizi. Ciononostante, a causa della sua primordiale applicazione su mezzifondisti corridori o ciclisti, gli allenamenti intervallati ad alta intensità vengono sempre proposti con esercizi di corsa o pedalata, suscitando poco interesse nelle persone non agoniste o meno competitive.

I ricercatori dell’Università di Bologna hanno sottoposto due gruppi di studenti universitari attivi ad esercizi di alta intensità con intervalli di uguale durata ma, con recuperi parziali o totali. “Il protocollo proposto con la combinazione di esercizi a corpo libero e di corsa potrebbe essere più inclusivo e coinvolgere persone poco attive”, sottolinea Mario Mauro. “Due allenamenti a settimana di breve durata sono sufficienti per migliorare la funzionalità dell’organismo”.

Quali potrebbero essere i benefici della ricerca sulle persone? Oltre ai già noti profitti in termini di emotività e salute mentale, nonché di rendimento fisico nelle attività della vita quotidiana, basti pensare che un semplice aumento del massimo consumo di ossigeno, indicatore fisiologico dell’efficienza cardio-vascolare-respiratoria, può ridurre il rischio di mortalità di un soggetto dal 10 al 25%, come dichiarato dall’American Heart Association.

È chiaro sin dai tempi di Ippocrate che l’esercizio fisico sia una strada da percorrere per uno stile di vita sano. Non resta che inserire la giusta segnaletica per indicare la corretta direzione.