Jenny Barbieri (1904 –1982) è stata la prima donna italiana a laurearsi in Medicina veterinaria. Salsomaggiore Terme, la sua città natale, la celebra intitolandole una pista ciclabile. Un tributo a chi ha fatto la storia di questa disciplina, non per aver creato una Scuola, ma per avere aperto la strada - quasi un secolo fa - a moltissime donne medico veterinarie.
La sua storia professionale inizia proprio all’Università di Bologna, che la accoglie come studentessa della Scuola Superiore di Medicina Veterinaria nel 1923. Qui si laurea a pieni voti nel 1927, discutendo una tesi dal titolo “Periostite diffusa ossificante tubercolare nel cane” (relatore prof. A. Lanfranchi).
Ai primi del Novecento, poche erano le donne che frequentavano l’Università. Lei si trovava sporadicamente in quei corsi che conducevano all’insegnamento nelle scuole (Scienze naturali, Chimica, Magistero), alla cura dei bambini (Medicina e Chirurgia) e delle donne stesse (Ostetricia). Le discipline connesse al mondo agricolo (Agraria e Medicina Veterinaria) e alla tecnica (Ingegneria) rimanevano precluse perché ritenute prettamente maschili. Ma Jenny Barbieri è una predestinata: nasce il primo dicembre, giorno in cui la Chiesa celebra Sant’Eligio da Noyon, protettore dei Veterinari. Proviene da una famiglia di laureati - medici, ingegneri, avvocati - e, addirittura, ha una zia, Pia Zambotti, famosa archeologa e docente universitaria a Milano.
Dà notizia della sua laurea una delle riviste veterinarie più prestigiose dell’epoca, La Nuova Veterinaria, che riporta: “Accompagnino la neocollega nella via professionale da Lei scelta i nostri sinceri auguri di un brillante avvenire, che non potrà mancarLe per le doti di mente e di cuore che possiede.”
Le sue qualità l’avevano infatti portata a pubblicare un articolo scientifico e a trovare lavoro ancora prima di laurearsi. Nel settembre del 1927 è già a Perugia come assistente alla cattedra di Anatomia normale del prof. G.B. Caradonna. Nei successivi sei anni produce altri lavori scientifici e un libro di Anatomia topografica. Ma nel 1933 viene improvvisamente licenziata per “un tenore di vita eccessivamente emancipato”, ritenuto non consono al suo ruolo accademico.
Rientrata a Bologna, viene assunta come assistente incaricata presso l’Istituto di Patologia e Clinica medica veterinaria, con retribuzione a carico dell’Istituto medesimo, a comprovare la stima che il direttore, prof. A. Lanfranchi, aveva di lei. Nel 1937 passa all’Istituto di Anatomia e Istologia degli animali domestici, diretto dal prof. A. Mannu. Nell’anno accademico. 1942-43 riceve il “Premio di operosità scientifica”. Dopo la Seconda guerra mondiale, tiene corsi di Anatomia normale veterinaria per i reduci.
Diventata assistente di ruolo, nel 1954 viene allontanata dall’Università di Bologna, ufficialmente per inoperosità scientifica, presumibilmente per incompatibilità caratteriale con il direttore dell’istituto, prof. V. Chiodi, subentrato a Mannu nel 1948. Per ratificare il licenziamento, il Senato accademico deve riunirsi due volte. Si accende un dibattito tra chi è schierato a favore della cessazione dal servizio e chi invece sostiene che non sia compito dell’assistente pubblicare. Alla fine, pesa il timore di creare un precedente che metta in discussione l’autorità del direttore d’istituto.
Cinquantenne e con l’anziana madre a carico, vince un concorso che la porta a lavorare all'ufficio delle Imposte Dirette di Bologna fino all'età della pensione.
Per vedere una seconda donna laureata in Medicina veterinaria a Bologna bisognerà attendere l’anno accademico 1949-50 e sporadici erano i casi anche nelle altre sedi italiane. Nel 1982, anno della sua morte, le laureate in Veterinaria erano circa il 20% del totale. Oggi sono l’80%.
La nuova ciclovia, fortemente voluta dal nipote Harry e sostenuta dal Comune di Salsomaggiore Terme, sarà lì a ricordare per sempre la donna coraggiosa che per prima in Italia, all’Università di Bologna, ha raggiunto questo importante traguardo.