Si è spento il 10 giugno il prof. Bruno Capaci, a lungo professore di Didattica della letteratura italiana e Letteratura e retorica presso il Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna. Formatosi sotto la guida di Ezio Raimondi e Andrea Battistini, ha conseguito, nel 1998, il titolo di Dottore di ricerca e, dopo un periodo trascorso nelle scuole, nel 2005 ha iniziato la carriera accademica come ricercatore nella stessa Università in cui si era formato, diventando nel 2018 professore associato.
Il prof. Capaci, nel corso della sua carriera accademica, si è occupato di molti temi di ricerca, coprendo un ampio arco cronologico e una gamma vasta di generi, dal Cinquecento al Novecento, da Lucrezia Borgia a Puccini. Si è dedicato all’edizione di testi rari e di discussa attribuzione, allo studio della fortuna di Dante, alle biografie e agli epistolari, alla letteratura massonica e giacobina, alla cultura del carnevalesco e a quella del cibo. In ambito settecentesco si è occupato della letteratura libertina e della produzione di Carlo Goldoni e Giacomo Casanova, a cui ha dedicato importanti monografie.
La sua ricerca procedeva per nuclei apparentemente distinti, eppure mirava a svilupparsi in una prospettiva unitaria incentrata sulla retorica, cercando poi un riscontro sempre fertile nel campo della didattica, in cui riusciva a coinvolgere con passione studentesse e studenti, con una vasta gamma di esempi che spaziavano da Aristotele a Vasco Rossi, da una scritta apparsa sui muri dell’Università agli spot pubblicitari. Il prof. Capaci ha guidato il Centro Studi Camporesi, ha diretto la rivista di fascia A “DNA” – Di Nulla Academia" e, negli ultimi anni, aveva avviato una proficua collaborazione con i giuristi, dalla quale sono scaturite proposte scientifiche e didattiche pionieristiche.
Le colleghe e i colleghi del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica, che con il prof. Capaci hanno condiviso anni di lavoro e di vita, scrivono: “ci mancheranno il suo garbo discreto, la sua ironia malinconica, il suo tratto affettuoso e schietto, così raro nella nostra accademia”.