
Un ingegnoso sistema di gestione delle acque all’interno della Casa di Nicenzio, una delle residenze più importanti e finora meno studiate di Thuburbo Maius, antica città romana che sorge circa 60 chilometri a sud-ovest di Tunisi.
A portarlo alla luce per la prima volta è stata l’ultima campagna di scavo realizzata dalla missione archeologica che coinvolge l’Università di Bologna, con il suo Dipartimento di Storia Culture Civiltà, insieme all’Istituto nazionale del patrimonio della Tunisia e all’Università di Manouba.
Il progetto si chiama "Thuburbo Maius, città e territorio" ed è sostenuto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e da Alma Scavi. Studenti italiani e tunisini lavorano insieme, accanto a ricercatori e tecnici, sulla documentazione, il rilievo e lo studio della vasta area archeologica.
Immersa in una delle regioni più fertili della Tunisia settentrionale, l’antica città di Thuburbo Maius si estendeva per circa 40 ettari e mostra ancora oggi i resti ben conservati di un notevole tessuto urbano, incluso un ampio sistema di cisterne, pozzi e canali.
"Il massimo splendore di Thuburbo Maius risale al periodo compreso tra il secondo e il terzo secolo", spiega Antonella Coralini, professoressa all'Università di Bologna che coordina la missione archeologica con i colleghi Hamden Ben Romdhane e Lamia Ben Abid. "La città si trovava infatti una posizione strategica che la rendeva un centro molto importante per le rotte commerciali della regione".
I primi scavi archeologici risalgono agli inizi del Novecento e sono proseguiti anche fra gli anni Settanta e Novanta del secolo scorso, ma restano ancora molte aree da scoprire e servono nuove ricerche su quanto emerso fino ad oggi.
È proprio a partire dal riesame dei vecchi scavi, infatti, che è venuto alla luce per la prima volta il sistema di gestione delle acque in una delle più importanti abitazioni di Thuburbo Maius, la cosiddetta Casa di Nicentius.
"La gestione dell'acqua aveva un ruolo centrale a Thuburbo Maius: lo testimonia il fitto sistema di canali e di bagni pubblici, con cisterne, pozzi e grandi complessi termali", aggiunge la professoressa Coralini. "Tutti questi elementi ci mostrano l’avanzata capacità tecnologica degli antichi Romani, che con ogni probabilità avevano già sperimentato in questa regione gli stessi problemi di carenza idrica che vediamo ancora oggi”.
Nel corso della stessa campagna di scavo, il team italo-tunisino ha anche esplorato e rilevato parti del sito situate fuori le porte della città. Un impegno continuo per la conservazione e la valorizzazione di questo ampio e straordinario patrimonio, che riprenderà in autunno con una nuova campagna di scavo, ancora dedicata ai temi del ciclo dell'acqua e del verde urbano.