
Un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna e dell’APC Microbiome Ireland di Cork ha fatto luce su un aspetto finora poco compreso della malattia di Fabry, una rara patologia metabolica ereditaria che si manifesta già nell’infanzia e colpisce diversi organi, a partire dal tratto gastrointestinale, dove spesso emergono i primi sintomi.
Lo studio – pubblicato sull’American Journal of Physiology - Gastrointestinal and Liver Physiology – ha indagato l’impatto a livello intestinale di un metabolita noto come lyso-Gb3, che è presente in alte concentrazioni nel plasma dei pazienti.
"Questo studio ci ha permesso di conoscere meglio i meccanismi gastrointestinali della malattia di Fabry, che portano a sintomi con impatti significativi sulla qualità della vita dei pazienti", spiega Cecilia Delprete, dottoressa di ricerca dell'Università di Bologna, che oggi lavora all'IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, e prima autrice dello studio. "I risultati ottenuti confermano l'importanza di realizzare studi funzionali su patologie come questa per arrivare a definire meglio i target terapeutici".
A causare la malattia di Fabry sono mutazioni del gene GLA che provocano la carenza di un enzima chiamato alfa-GAL (alfa-galattosidasi A). In condizioni normali, l’alfa-GAL permette di eliminare una sostanza tossica chiamata Gb3 (globotriaosilceramide). La mutazione genetica che provoca la malattia di Fabry, riducendo la presenza di alfa-GAL porta quindi ad un accumulo eccessivo in diversi organi, tra cui l’apparato gastrointestinale, di Gb3 e di un suo derivato più solubile chiamato lyso-Gb3 (globotriaosilsfingosina).
Gli studiosi si sono concentrati proprio su quest’ultimo elemento, analizzando la presenza del lyso-Gb3 sul colon di modelli animali, per capire in che modo il suo accumulo possa contribuire allo sviluppo dei sintomi gastrointestinali associati alla malattia di Fabry.
"La nostra analisi ha evidenziato che l'accumulo di lyso-Gb3 altera in modo significativo il trasporto ionico all'interno dell'intestino, tanto da influenzare la quantità di acqua presente nel lume intestinale e contribuire quindi a sintomi comuni della malattia di Fabry come diarrea e dolori intestinali", spiega Marco Caprini, professore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell'Università di Bologna, tra gli autori dello studio. "Al contrario, non sono stati osservati cambiamenti rilevanti nella motilità intestinale e questo suggerisce che l’accumulo di Gb3, piuttosto che lyso-Gb3 da solo, possa essere necessario per causare i disturbi gastrointestinali più gravi tipici di questa patologia".
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista American Journal of Physiology - Gastrointestinal and Liver Physiology con il titolo “Characterization of Fabry disease-associated lyso-Gb 3 on mouse colonic ion transport and motility”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Cecilia Delprete e Marco Caprini del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie. Gli autori hanno realizzato anche un approfondimento in formato audio dello studio pubblicato sull’American Journal of Physiology-Gastrointestinal and Liver Physiology Podcast.