L'invecchiamento sano passa dal potere della socialità: interazioni frequenti e significative all'interno dei gruppi sociali di riferimento, con i familiari, gli amici, i conoscenti, migliorano la qualità della vita e favoriscono la longevità.
Lo mostra nel dettaglio uno studio pubblicato sulla rivista GeroScience, che mette in luce i meccanismi evolutivi e biologici di collegamento tra socialità, longevità e un invecchiamento più sano.
Le interazioni sociali non sono solo un elemento chiave del benessere psicologico, ma possono influire profondamente sulla salute fisica e sulla longevità.
"In un mondo che si avvia verso un rapido invecchiamento demografico, con oltre il 16% della popolazione mondiale che avrà più di 65 anni entro il 2050, comprendere i legami tra socialità e invecchiamento biologico è cruciale per affrontare le sfide del futuro", spiega Cristina Giuliani, professoressa al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell'Università di Bologna, che ha coordinato l'indagine.
Gli studiosi sottolineano ad esempio che tra le persone socialmente isolate il rischio di mortalità aumenta del 29%: un dato che è comparabile ai principali fattori di rischio come obesità, fumo e inattività fisica.
Allo stesso tempo, è stato dimostrato che stress sociali cronici come l’isolamento o l’emarginazione alterano profondamente i sistemi neurofisiologici e immunitari, accelerando l’invecchiamento biologico. Effetti, questi, che possono portare a un aumento del rischio di malattie degenerative come il morbo di Alzheimer, di patologie cardiovascolari e di alcune forme di cancro.
Un elemento che invece promuove la longevità è la relazione sociale tra generazioni, ad esempio il rapporto tra genitori e figli o tra nonni e nipoti: questi scambi contribuiscono infatti a creare una rete sociale resiliente, capace di mitigare gli effetti dell’invecchiamento.
"Queste interazioni e la cooperazione tra generazioni influenzano non solo la biologia individuale, ma sembrano aver plasmato alcuni tratti distintivi della nostra specie, come l’estensione della vita post-riproduttiva", spiega Giuliani.
Lo studio evidenzia che promuovere reti sociali solide e interazioni intergenerazionali non solo migliora la qualità della vita degli anziani, ma potrebbe anche portare a una riduzione del peso economico delle malattie legate all’età.
"Questo è particolarmente rilevante in Italia, uno dei paesi più longevi al mondo", aggiunge Giuliani. "Se non affrontato con strategie innovative e basate su evidenze scientifiche, l'invecchiamento rischia di amplificare le disuguaglianze e mettere sotto pressione le reti di supporto sociale e familiare, oltre ad aumentare il peso economico delle malattie croniche legate all’età".
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista GeroScience con il titolo "Stay social, stay young: a bioanthropological outlook on the processes linking sociality and ageing". Per l’Università di Bologna hanno partecipato Cristina Giuliani, membro del Team Alma-Aging ed esperta in antropologia molecolare, insieme a Vincenzo Iannuzzi, assegnista di ricerca nell’ambito del progetto Age-It, finanziato dal PNRR, che punta a sviluppare soluzioni innovative per sostenere una popolazione sempre più longeva.