Cina: la crescita economica dietro la Grande Muraglia
Stime di qualche anno fa prevedevano che la destabilizzazione economica cinese avrebbe condotto il paese al tracollo sociale e i mercati internazionali a un’impennata dei prezzi. I recenti sviluppi confutano però entrambe queste ipotesi. Svelando i particolari della riforma agraria del 1978, ce ne spiega il perché Roberto Fanfani, ordinario di Politica Economica e promotore pochi giorni fa di un seminario sulla Cina Rurale a Scienze Statistiche.
Un muro – la celebre Grande Muraglia – lega la Cina al nostro immaginario. Molti altri la allontanano: barriere ideologiche, attriti politici, distanze geografiche e, soprattutto, diversi ordini di grandezza. Ciò che per noi è enorme, in Cina è pulviscolo: noi siamo trecento milioni, loro un miliardo e trecento milioni; l’UE dispone complessivamente di settanta milioni di ettari di superficie coltivabile, mentre la Cina da sola supera invece i cento. Numeri che sorprendono e che talvolta spaventano.
Gli studiosi di economia, almeno fino a qualche anno fa, erano i più allarmisti. Secondo le loro stime, infatti, la crescente domanda interna di beni alimentari avrebbe rapidamente provocato squilibri su scala internazionale, avviando un vertiginoso aumento dei prezzi. Queste previsioni si sono però rivelate errate. Il tenore di vita della popolazione cinese si è innalzato, la crescita economica è proceduta a ritmi elevati, ma i mercati mondiali non ne hanno risentito.
L’Università di Bologna, il 26 novembre 2003, ha dedicato un seminario alla comprensione di questo fenomeno per molti inatteso. Roberto Fanfani, ordinario di Politica Economica e promotore dell’iniziativa, indica nella riforma agraria del 1978 il motivo della tenuta economica cinese: “Le nostre analisi, basate sul censimento del 1997 – spiega il professor Fanfani - mostrano che il passaggio da una gestione collettiva a una gestione individuale della terra ha accresciuto a tal punto gli indici di redditività dei singoli appezzamenti da permettere al colosso asiatico di fronteggiare autonomamente l’aumento della domanda interna, senza gravare sul resto del mondo come invece ipotizzavano le stime elaborate a partire dagli standard produttivi risalenti al periodo precedente.”.
La riforma agraria, unitariamente alla contemporanea liberalizzazione degli scambi, ha quindi garantito la stabilità economica. Ma non solo. “Essa – prosegue Fanfani - ha anche funzionato da ammortizzatore sociale. La distribuzione della terra, infatti, portando alla creazione di centonovanta milioni di piccoli aziende, ha dato a innumerevoli gruppi familiari la sicurezza che lavori temporanei e mal retribuiti nel campo dell’edilizia non erano in grado di offrire, facendo della donna, custode della proprietà, un fulcro dell’intero sistema.”.
Economicamente autonoma e socialmente stabile, dunque, la Cina è o non è la minaccia da molti descritta? Zhang Lun – saggista cinese – tranquillizza nelle sue analisi il mondo occidentale timoroso del gigante asiatico, ma nel contempo ricorda che un simile colosso non potrà più essere ignorato dall’Europa. “La Cina – conclude del resto anche Fanfani – assieme a Brasile, Sud Africa e altri venti paesi ha già portato avanti le proprie rivendicazioni alla conferenza di Cancun. Per fronteggiare questa nuova realtà è perciò ancor più urgente che l’Unione si doti presto di una politica estera agricola comune, attivando nuovi piani d’azione che, prescindendo dal protezionismo, diano competitività al nostro continente. Una sfida difficile, ma che vale la pena tentare, perché ogni fase dell’integrazione europea è partita dalla politica agricola: quest’ultimo, quindi, è il settore giusto per trovare una linea comune anche nei rapporti col resto del mondo.”.