Nanospider: al piccolo dall’ancora più piccolo
Dall’Università di Bologna parte la rivoluzione della chimica nella corsa alla miniaturizzazione. Non più componenti microscopici, ottenuti rimpicciolendo oggetti più grandi, ma macchine nanoscopiche costruite assemblando gli “oggetti” più piccoli della materia: le molecole. Ce ne parla Vincenzo Balzani, che, forte del successo ottenuto dopo trent’anni di ricerca, si sofferma sulle riforme ipotizzate per l’Università e sulle responsabilità dello scienziato rispetto all’utilizzo delle sue scoperte.
E’ già da qualche giorno che si parla di quel “mostro” di Nanospider, la nanomacchina descritta su Science del 19 Marzo 2004 da Jovica D. Bladjic e J. Fraser Stoddart dell’Università della California, e da Vincenzo Balzani, Alberto Credi e Serena Silvi dell’Università di Bologna. Di Nanospider si è detto tutto. E’ stato descritto nella forma: un ragnetto con tre gambe. E’ stato descritto nelle dimensioni: pochi nanometri che devono essere ingranditi milioni di volte per assumere consistenze palpabili. Ed è stato descritto nella forza: così grande da permettergli di sollevare tre miliardi di volte il suo peso.
Nanospider però non “serve” ancora a nulla. Perché allora la sua nascita ha fatto il giro del mondo, calamitando l’attenzione di specialisti e profani?
“Perché Nanospider dimostra che è possibile costruire e far funzionare a comando una nanomacchina artificiale”, risponde Vincenzo Balzani che è a capo del gruppo di ricerca italiano. “E’ la prima volta infatti che l’ingegneria molecolare riesce a progettare un’architettura nanometrica complessa, dotata di una piattaforma che può funzionare da ascensore e di gambe che possono svolgere la funzione di una pinza. Certo siamo ancora lontani dall’efficienza e dalla complessità delle macchine naturali operanti in ciascuno di noi, ma il nostro è un primo passo, il segnale che è possibile costruire macchine artificiali molto interessanti”.
In particolare Nanospider che scenario lascia presagire?
“Un cambiamento di rotta nella corsa alla miniaturizzazione. Dal modello top-down della fisica e dell’ingegneria, che finora aveva consentito di rimpicciolire componenti di partenza di grosse dimensioni, si passerà al modello bottom-up della chimica, che permetterà invece di costruire componenti di scala nanometrica assemblando funzionalmente le molecole, che sono le più piccole entità della materia ad avere una forma propria”.
Una sorta di ingegneria molecolare insomma? “Esattamente. Si parte dalla progettazione del design della nanomacchina, poi si assemblano i componenti e infine si studia il modo di azionare il dispositivo, il che comporta fornirgli energia e realizzare un sistema di controllo”.
Per Nanospider per esempio da dove siete partiti?
“Avevamo realizzato in precedenza una macchina più semplice, con una gamba e un anello, e da lì ci siamo chiesti se potevamo costruirne una più complessa con tre gambe e tre anelli. Con pazienza abbiamo progettato questa nuova machina, poi i nostri colleghi americani l’hanno sintetizzata e noi l’abbiamo studiata e fatta funzionare con opportuni stimoli chimici”.
E per il futuro?
“Speriamo di raggiungere due obiettivi. In primo luogo l’elaborazione di un sistema ordinato che permetta ai miliardi di Nanospider contenuti in una soluzione di lavorare in modo concertato. In prospettiva contiamo inoltre di modificare il sistema per farlo muovere mediante reazioni fotochimiche, cioè utilizzando energia luminosa, più economica e conveniente”.
E ora, dall’alto del successo internazionale appena conseguito, cosa può dirci sul futuro della ricerca italiana attualmente al centro di dibattiti e progetti di riforma?
“Ho letto che la signora Moratti è volata in America per promuovere delle collaborazioni. Forse è una cosa più di immagine che di sostanza Le collaborazioni esistono già e da sempre, nascono spontaneamente dai contatti stabiliti alle conferenze internazionali o con lo scambio di pubblicazioni. E’ stato così anche per Nanospider: noi avevamo una grossa esperienza nella progettazione e nel funzionamento delle macchine molecolari, mentre i nostri amici californiani erano all’avanguardia nella sintesi: collaborare è stato ovvio. Gli accordi ad alto livello non sono molto utili. Sarebbe più importante che il Governo investisse maggiori risorse nella ricerca scientifica”.
Un’ultima domanda. Lei si è già espresso più volte sulle implicazioni etiche e sociali dello sviluppo scientifico. Crede che i risultati delle sue ricerche potrebbero essere usati in futuro per scopi di guerra?
“Tutto può essere usato per il bene o per il male, incominciando dalle più semplici conquiste tecnologiche, ad esempio il coltello, su su fino ai computer, all'energia atomica e alle mie scoperte. Lo scienziato non ha colpe per questo, ma ha però una grande responsabilità politica: deve essere il primo a opporsi a ogni applicazione malvagia della tecnologia e deve essere il primo a scendere in piazza per manifestare contro ogni guerra”.