Bucare il terreno per far sgorgare la storia
Settimane intense per il Dipartimento di Archeologia che tra convegni recenti e mostre imminenti sta portando all’attenzione del pubblico i risultati di scavi condotti in Europa, in Nord Africa e in Medio Oriente. Ce ne parla il prof. Sergio Pernigotti, coordinatore delle missioni in Fayyum, convinto che il vero archeologo è colui che traduce in storia il lavoro sul campo.
La storia, quella antica, quella che solo lunghe ricerche riescono a svelare, è d’attualità all’Alma Mater. Solo pochi giorni fa, venerdì 7 maggio, a Bologna si sono raccolti i maggiori archeologi italiani per confrontare le loro tecniche di scavo e spiegare il legame tra queste e i siti in cui erano impiegate. Tra pochi giorni, poi, a partire dal 18 maggio, il Dipartimento di Archeologia raccoglierà in una mostra nelle aule di San Giovanni in Monte il frutto della sua variegata opera di ricerca, che, a fianco di siti storici come quello di Marzabotto vanta ormai ramificazioni in Francia, Albania, Croazia, Egitto, Turchia, Siria, Turkmenistan, Uzbekistan, Oman e Kazakistan.
Regioni remote dove non di rado gli archeologi vivono davvero esperienze avventurose simili a quelle del celebre Indiana Jones. “Soknopaiou Nesos, sito della nostra più recente spedizione - dice infatti Sergio Pernigotti, docente dell’Università di Bologna - è un posto caratterizzato da un clima impervio in cui il caldo torrido si alterna a un vento incessante. Non ci sono paesi vicini e gli approvvigionamenti devono essere trasportati con un trattore per una pista malmessa, attraversando zone popolate da serpenti orribili. Una situazione estrema, che è possibile affrontare solo ora, perché i cellulari ti permettono di rimanere in costante contatto con le autorità locali”.
La regione egiziana del Fayyum, a cui Soknopaiou Nesos appartiene, è da anni meta di missioni che partono da Bologna. Nella vicina Bakchias, infatti, un lavoro di scavo decennale, condotto in collaborazione con l'Università di Lecce, ha riportato alla luce un intero nucleo cittadino, o meglio le stratificazioni architettoniche depositate da tre insediamenti successivi. “Paradossalmente – commenta Pernigotti, refernte della spedizione per l'Alma Mater - è stato possibile scendere così in profondità perché i contadini locali prima e un’industria italiana poi avevano sottratto dal centro del sito una notevole quantità di terreno, ottimo fertilizzante, danneggiando irrimediabilmente molti edifici, ma anche raggiungendo rapidamente profondità che solo diverse generazioni di archeologici avrebbero potuto sfiorare”. Seguendo le moderne tecniche di scalo stratigrafico, infatti, in un anno non si scende in media più di due o tre metri.
Al cantiere storico di Bakchias presto se ne aggiungerà un altro per ospitare una nuova summer school di archeologia, che si andrebbe così ad aggiungere a quella già attivata a Phoinike dal prof. Sandro De Maria. Una palestra di scavo dove gli aspiranti archeologi dovrebbero imparare a tradurre in storia il loro lavoro sul campo. Esattamente come è accaduto a Bakchias, “dove - conclude Pernigotti - rinvenendo un semplice oggetto, un’anfora fenicia, abbiamo scoperto che la città era nata molto prima di quel 280 a.C. da tutti suggerito”.