Autore: Cecilia Cortesi e Carla Faralli (a cura di)
Editore: Diabasis
Prezzo: 15 euro
Embrione come vita o embrione come ammasso di cellule. A pochi giorni dal referendum abrogativo sulla regolamentazione legislativa della fecondazione medicalmente assistita (legge 40 del 2004), esce un libro che frantuma il dualismo politico sul quale si è arroccato il dibattito. A dire che la riflessione sulla fecondazione in vitro è molto di più di una contrapposizione frontale tra laici e cattolici è "Nuove maternità", un’antologia di riflessioni al femminile nata dal lavoro corale del Dottorato in Bioetica coordinato dalla prof. Carla Faralli che, assieme alla dott.ssa Cecilia Cortesi, è curatrice del testo.
Il filo conduttore dell’opera, introdotta da Carlo Flamigni e Marina Mengarelli, è l’idea che la bioetica non sia immune alle differenze di genere. Centrale è la teoria di Carol Gilan, secondo la quale esistono due tipi di morale: l’etica della giustizia votata verso i principi astratti e universali e l’etica della cura e della responsabilità individuale che privilegia invece la persona e i dettagli contestuali in cui opera. L’etica della giustizia, la più tradizionale, la più "maschile", si concentra sulle persone in senso generico, mentre l’etica della giustizia, di matrice più spiccatamente "femminista", è attenta alle peculiari condizioni di ogni individuo.
Cosa implichi questo nuovo approccio ispirato alla concretezza è spiegato da Susan Sherwin in Femminismo e bioetica: "L’etica femminista – scrive Sherwin – suggerisce che nel momento in cui si è impegnati nel dibattito morale, non possono essere sufficienti né il calcolo di alcuni vantaggi pratici, né l’applicazione di una serie di principi morali. Ciò che occorre domandarsi è quale tipo di persona possa beneficiare delle nostre scelte, quali principi possano aiutare chi soggiace all’oppressione" (pag. 10).
Sherwin parla di oppressione perché tutte le tecnologie per la riproduzione – nel libro si parla di riproduzione assistita, aborto e tessuti fetali – sono al pari delle altre tecnologie strumenti che possono favorire l’emancipazione o ampliare il terreno della discriminazione. E’ davvero una scelta autonoma – si chiedono le bioetiche femministe – quella della donna che ricorre alla fecondazione assistita o è invece una scelta obbligata da un contesto in cui ogni fase del processo riproduttivo è stata ormai colonizzata dalla medicina?
Una delle idee che le saggiste anglosassoni avanzano per difendere l’autonomia dell’individuo dalle pressioni del contesto è l’accrescimento del livello educativo. "Le femministe – scrivono Flamigni e Mengarelli nell’introduzione – sono particolarmente interessate a mutare la prospettiva sulla bioetica, passando per esempio dal punto di vista del medico a quello del paziente. Questo approccio incoraggia a sviluppare e indagare nuovi modelli per ristrutturare i rapporti di potere legati alle pratiche di cura, come a esempio la condivisione delle conoscenze specialistiche sulle questioni di salute: in modi che permettano ai singoli un maggior controllo sulla propria salute". L’obiettivo insomma è insegnare ai pazienti ad autoeducarsi fornendo loro le adeguate strutture di supporto.
"Nuove maternità", edito da Diabasis (15 euro) all’interno della collana "Etica giuridica politica" diretta da Gianfranco Zanetti, contiene le traduzioni italiane dei saggi di Susan Sherwin (Feminism and bioethics), Susan Dodds (Choice and control in feminist bioethics), Hilde Lindemann Nelson (Dethroning choices: analogy, personhood and the new reproductive technologies), Rosemarie Tong (Feminist perspectives and gestional motherhood), Susanne Gibson (The problem of abortion: essentially contested concepts and moral autonomy), Mary Mahowald (As if there were fetuses without women: a remedial essay) e Anne Donchin (Prospettive che convergono: le critiche femministe alla riproduzione assistita).