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Pochi mesi per sperare in un colpo di reni economico, l’ultima occasione per far decollare l’Italia

Precarietà e flessibilità. Cosa è inevitabile e cosa non lo è. Cosa è utile all’economia americana e cosa non funziona in quella europea. A pochi giorni dal via di una nuova legislatura, l’analisi economica del mercato del lavoro italiano.
Aeroplanino di carta

Anche in materia di giovani e contratti di lavoro la campagna elettorale si è giocata sullo scontro, "ma le posizioni estreme sulla flessibilità sono sbagliate", interviene Gilberto Antonelli, docente di economia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna e promotore di varie iniziative, come la School of Development Innovation and Change (SDIC) ed i corsi di laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale (SVIC) e in Cooperazione e Sviluppo Locale e Internazionale (COSLI). "C’è un margine di inevitabilità - dice il docente, esperto di politiche del lavoro – ma c’è anche un margine di discrezionalità negli interventi su scala nazionale e locale per proiettare l’adattamento al processo di globalizzazione in avanti".

Il margine di inevitabilità è forse il più noto. Si parla spesso delle sue cause: integrazione europea, globalizzazione dei mercati, pressione dei paesi meno sviluppati e dinamica demografica. Temi da copertina, di certo importanti, ma che non devono far dimenticare i margini d’azione locale, ovvero le misure per trasformare la flessibilità passiva, strumento di instabilità psicosociale e stagnazione economica che genera precarietà, in flessibilità attiva, strumento di libertà professionale, innovazione e dinamismo collettivo.

Gli Stati Uniti, per esempio, tra i vari provvedimenti adottati, hanno fatto leva in modo efficace sulla flessibilità funzionale, ovvero la dimensione della flessibilità più legata all’aggiornamento e alla mobilità professionale: "Gli Usa – spiega Antonelli – partono da una indiscussa leadership mondiale e hanno un potere attrattivo sia sul capitale finanziario sia sul capitale umano. Dispongono di grandi risorse e per loro la flessibilità è sinonimo di vantaggio comparato nella velocità di adattamento ai nuovi mercati e sistemi produttivi e".

"L’Europa, invece, – continua Antonelli – non ha ancora questa capacità di attrazione. Il nostro continente deve quindi costruirsi il proprio capitale umano al fine di accrescere la produttività e il vantaggio assoluto. In questo caso la flessibilità può esercitare effetti negativi nella misura in cui riduce l’accumulazione di competenze professionali: pensiamo, come esempio banale, agli effetti dell’utilizzo di precari come postini, ed ai costi generati dal conseguente accumulo di posta non distribuita".

Il caso italiano si inserisce in questo secondo filone. "La precarietà – dice Antonelli – tende a cristallizzarsi. L’indagine di AlmaLaurea, su cui stiamo lavorando ci dice che, circa la metà delle persone che sono partite con un lavoro atipico ad 1 anno dalla laurea, a cinque anni dalla laurea non hanno ancora un lavoro stabile. In altri termini, sembra che il precariato sia persistente per la metà dei laureati e questo è sempre negativo". Risultato: in Italia abbiamo pochi laureati sul totale della popolazione (circa il 10%); e pochi laureati sul totale degli occupati (circa il 13%). Entrambi i valori dovrebbero invece crescere, perché l’ingresso nell’occupazione dei laureati è sempre veicolo di cambiamento, creatività e innovazione".

Andrea Cammelli, Direttore di AlmaLaurea, ha proposto l’adozione sgravi fiscali per le imprese che assumono laureati. Gilberto Antonelli è d’accordo ma sottolinea anche l’importanza di investimenti innovativi da parte delle imprese: "I dati sull’andamento borsistico – commenta l’economista – attestano una crescita dei dividendi. E’ un dato positivo, ma significa anche che le aziende fanno pochi investimenti. Siamo un Paese che vive di rendita e che preferisce investire su immobili e autostrade piuttosto che in manifattura, telecomunicazioni e servizi avanzati. E’ un circolo vizioso: si parte da una bassa domanda e offerta di laureati, si trascura la ricerca, la formazione e l’innovazione e questo genera  a sua volta una bassa domanda di lavoro ad alta qualificazione. E’ fondamentale rompere questa impasse, perché una riforma del mercato del lavoro,da sola, non serve a garantire la competitività".

A pochi giorni dalle elezioni è ottimista sul futuro? "Voglio esserlo, ma occorre un colpo di reni entro l’estate o la situazione è destinata a peggiorare definitivamente. In primo luogo occorre redistribuire il reddito: dal 1978 al 2002 la quota del PIL che va al lavoro dipendente si è ridotta dal 48% al 38%. Anche il lavoro autonomo è stato colpito. Ciò ha determinato, oltre che una caduta dei consumi un diffuso senso di precarietà, che ha nuociuto alla coesione sociale e portato ancora una volta il nostro sistema a reagire solo difendendosi, dopo il protezionismo dai grandi shock internazionali e dopo le ripetute svalutazioni competitive." "Redistribuzione in grado di stimolare il capitale umano e di ridurre la precarietà, e investimenti innovativi sono gli ingredienti necessari per una svolta necessaria e urgente".