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La visita del Ministro Mussi all’Alma Mater

Un appuntamento atteso da anni. E il neo Ministro dell’Università e della Ricerca risponde con due proposte alle tante richieste che gli arrivano in un’Aula Magna gremita ed attenta.
Fabio Mussi in Aula Magna

Sorpreso della sorpresa. Pare infatti che gli studenti, i ricercatori e i docenti che lo hanno incontrato finora si dichiarino piacevolmente stupiti di poter scambiare opinioni direttamente con un Ministro. E invece Fabio Mussi, rovesciando questo come altri punti di vista, conquista subito la platea di un’Aula Magna affollata ed attenta chiedendosi: "se non si mescola alla vita dell’università di che parla un Ministro dell’Università e della Ricerca?".

A dire il vero qui a Bologna negli ultimi anni un po’ di astinenza c’è stata. Lo ha sottolineato il Magnifico Rettore Calzolari nel messaggio di saluto, anticipando le altre autorità presenti tra cui il sindaco Sergio Cofferati, la presidente della Provincia Beatrice Draghetti, l’assessore regionale Duccio Campagnoli. "Da cinque anni la nostra Università, una delle più importanti del Paese, non riceve la visita del suo Ministro e già per questo le siamo riconoscenti". Lui, il Ministro, non parla subito. Prima ascolta tutti gli interventi, incentrati soprattutto sul ruolo della ricerca, "chiave di volta – sottolinea nel suo quadro d’insieme il Rettore – dell’intero sistema" attorno a cui ruotano altri punti fondanti dell’Alma Mater, come la struttura multicampus della Romagna (che accoglie da sola circa 20.000 studenti, pari al bacino di utenza di quasi il 65% degli atenei italiani),  l’internazionalizzazione (tra l’altro con il più alto numero di Erasums) che vede il primato del nostro ateneo, lo sviluppo edilizio con ben 12 cantieri aperti e un prestito appena firmato con un istituto di credito europeo. Ma se si tolgono le affermazioni di principio "quanti – si chiede Calzolari – sono realmente convinti che la competitività sia un prodotto diretto dell’investimento sulla conoscenza?". Il Rettore chiede con forza che si torni ad investire nella ricerca pubblica, non tramite una manovra diretta sull'investimento privato in ricerca. "Il nuovo governo – prosegue Calzolari – sta manifestando posizioni apprezzabili per auspicare un’inversione di rotta e l’impegno del Ministro in questo senso apre il cuore alla speranza".

Bologna parla di sé: illustra al Ministro i suoi punti di eccellenza, i numeri, le novità. Primo tra tutti il Sistema di Ricerca dell’Ateneo. Assenza di coordinamento, scarsa propensione alla collaborazione, mancanza di supporto: questa era la situazione di chi si avvicinava ai progetti di ricerca. "Quello che è nato invece dalle fondamenta – spiega Bruno Quarta, Dirigente dell’Area della Ricerca – è un sistema di servizi, supporto e comunicazione interna e pre-esterna il tutto con l’obiettivo di far cambiare scala all’Università di Bologna, facendo in modo che l’ateneo raddoppi le risorse destinate alla ricerca".

Poi arrivano le richieste. Locatelli e Scandellari parlano a nome dei ricercatori e dei ricercatori precari. Si aggiungono i rappresentanti dei dottorandi e dei lettori di lingue. Filo comune degli interventi la fiducia da un lato nella scienza, quella con la S maiuscola, e nell’inguaribile tendenza dell’essere umano a domandarsi il perché delle cose. Dall’altro la stigmatizzazione di un precariato (è di 47 anni l’età media dei ricercatori) che finisce spesso per condizionare scelte di vita oltre che professionali.

Il Ministro ascolta, prende appunti, poi arriva il momento di prendere la parola. Non promette miracoli nella sua ricetta ("Per quelli avevamo, fino a poco fa, un addetto speciale"), ma una discussione  vera, "che sia forte nelle intenzioni e sufficientemente alta per poter cambiare la realtà, perché se si parte troppo bassi è difficile invertire la tendenza".

Una certezza su tutte: "abbiamo poco tempo". E un sacco di cose da fare. Sin dall’antichità c’erano centri di eccellenza per i saperi. "Oggi non c’è più un luogo in cui bisogna andare: il paese si chiama Mondo. E’ giusto che ciascuno vada dove vuole, ma non spinto dal bisogno".  Affrontato il tema della precarietà e dei bassi salari il Ministro, mette sul piatto una serie di tematiche. Spesso è interrotto dagli applausi. Autonomia? "Una buona cosa anche se deve basarsi su un forte principio di responsabilità". I livelli di studio? "Penso siano giusti anche se si è arrivati a delle patologie: un livello di frammentazione per cui si fanno esami da 1 credito studiando libricini di 20 pagine". E ancora no alla proliferazione degli atenei, soprattutto di quelli telematici. No al blocco del turnover. Insomma la ricetta del Ministro non è quella di frenare un treno in corsa, ma di portare qualche importante aggiustamento.

Torna a concentrarsi sulla ricerca: "l’anno scorso l’investimento in ricerca è stato dell’1.1% del PIL. La mano pubblica in questo ha un peso dello 0,72  che non sarebbe neppure male se confrontato all’Europa, dove l’investimento pubblico è mediamente dello 0,68. Ma da noi è quello privato che è carente, pari a meno di un terzo. Recentemente "l’Università di Yale ha sottoscritto una richiesta di fondi. Conta, grazie alle donazioni di privati, di raccogliere 3 milioni di dollari e in pochi mesi di campagna ha già superato 1 milione di dollari". Certo facile è dirlo e difficile è farlo, quando ci si mettono le questioni di mentalità e di cultura. E il Ministro confessa di averci provato, in Confindustria, a convincere qualche industriale a finanziare qualche altro oggetto socialmente utile che non siano banche, squadre di calcio o giornali.


E la ricetta di Mussi ha due nuovi ingredienti. Da un lato un’agenzia di valutazione, indipendente dal ministero e dai valutati, a cui affidare un budget che premi anche sulla base dei risultati gli atenei, creando tra loro una buona competizione. Dall’altro un piano decennale che provochi un’ondata di giovani ricercatori. "Le università europee sono piramidali. La nostra ha piuttosto la forma di una botte. E allora o quelli della mia generazione sono stati dei geni oppure- scherza il Ministro- significa che è intervenuto qualche altro accidente". Nei prossimi dieci anni per più di 30.000 docenti sarà ora di lasciare il posto a migliaia di giovani. E’ una vera e propria ondata di giovani quella che arriverà nelle nostre università.

Non manca neppure un cenno all’episodio "europeo" che ha acceso i dibattiti sul ritiro del veto da parte dell’Italia delle sperimentazioni sulle staminali embrionali. Episodio che ha riempito le pagine dei giornali, ma che ha anche fatto dire a qualcuno "Italia, bentornata in Europa", racconta Mussi.

Insomma su molte questioni il Ministro un’idea se l’è già fatta. Su altre come i lettori, il futuro della SSIS (Scuola Superiore per l'Insegnamento Superiore), i finanziamenti sta ancora studiando. Certo è che "nel mazzo di carte delle opportunità del nostro paese la ricerca è un asso che bisogna calare".

E se da un lato occorre comunicare alla società quello che fa l’università e la sua ricerca ad esempio, dall’altro deve essere evidente che un riformismo calato dall’alto non può essere in alcun modo vincente. "Per questo – conclude Mussi – mi appello a tutti voi. Perché l’università e la ricerca sono un investimento sul futuro. Io ci credo. E ci proverò".