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Nel cuore dell'antica Persia

Dal 2005 l'Università di Bologna  ha avviato una serie di attività archeologiche in Iran, in collaborazione con gli studiosi locali. Da Pasargade a Persepoli, passando per le polemiche sorte attorno alla tomba di Ciro il Grande. Un'ampia intervista con il responsabile del progetto, prof. Pierfrancesco Callieri
Studenti all'opera in uno scavo iraniano

Prof. Callieri, lei è da poco tornato dall'Iran, dove ha partecipato ad un congresso di archeologia. Cosa può dirci di questa esperienza?
Si trattava del 9° Congresso nazionale di archeologia, un'occasione che il Centro Iraniano di Ricerche Archeologiche, l'ente responsabile di tutte le ricerche sul territorio, ha organizzato come momento di diffusione delle attività archeologiche condotte nello scorso anno del loro calendario, ovvero dal marzo 2006 al marzo 2007. E' stato un congresso molto ricco ed interessante. Io lavoro dal 2005 in una delle numerose regioni dell'Iran, quindi sono abbastanza informato su quella regione specifica, ma meno su quello che avviene nel resto del Paese. E devo dire che sono rimasto favorevolmente impressionato: mi sembra che il livello dell'archeologia in Iran stia migliorando molto, soprattutto grazie alla generazione più giovane, molto più impegnata anche dal punto di vista metodologico.

Quando ha iniziato ad interessarsi di Iran e a stabilire contatti con gli archeologi locali?
La mia formazione è di archeologo sull'Iran pre-islamico, ma la mia carriera è coincisa con la Rivoluzione islamica. Mi sono laureato proprio nel 1979, anno in cui salì al potere Khomeini e momento che ha segnato, per motivi ideologici, ma anche a causa dell'inizio della guerra con l'Iraq, la fine delle collaborazioni con studiosi stranieri. In seguito c'è stata una graduale ripresa della attività sul campo da parte degli iraniani, ma con un approccio sempre estremamente nazionalista, di grande chiusura all'Occidente. I miei primi contatti sono iniziati a metà degli anni '90: sono riuscito ad ottenere dei visti e ho cominciato a viaggiare nel Paese, prendendo contatto con archeologi locali. Nel 2002 ho presentato un progetto di ricerca, che però è stato tenuto nel cassetto. Poi nel 2005, in piena era riformista, sono stato chiamato dal Centro Iraniano di Ricerche Archeologiche, e sono stato in grado di rispondere positivamente grazie alla lungimiranza dell’Ateneo e del Magnifico Rettore.

E' in questo momento che inizia il lavoro dell'Università di Bologna in Iran?
Sì, sono stato chiamato per occuparmi di uno scavo di salvataggio relativo ad un cantiere nei pressi di Pasargade, dove deve sorgere una grande diga. L'obiettivo era documentare in quell'area il periodo che avevo proposto nel progetto di ricerca presentato, un arco temporale che va dalla fine dell'impero Achemenide all’inizio di quello Sassanide, cioè dalla fine del IV secolo a.C. all'inizio del III secolo d.C. Questa prima collaborazione ha preso il via nel febbraio 2005 e si è sviluppata in tre campagne di scavo. Nel 2006, poi, per risolvere un problema specifico, relativo alla scarsa conoscenza del materiale ceramico nel periodo achemenide e post-achemenide, assieme al mio collega iraniano dott. Alireza Askari Chaverdi, siamo riusciti ad ottenere il permesso per aprire un saggio stratigrafico a Pasargade.

Che risultati sono emersi a Pasargade?
A Pasargade ci hanno permesso di scavare una trincea sul cosiddetto Toll-e Takht, un'imponente piattaforma costruita sulla sommità di una collina naturale da Ciro il Grande e poi successivamente utilizzata da Dario I e dai suoi successori come fortificazione. Grazie a due campagne condotte con grande cura, lo scavo ci ha permesso di documentare tutta la stratigrafia, ottenendo un risultato molto significativo: mentre gli archeologi inglesi che avevano lavorato in quel complesso negli anni '60 avevano distinto due soli periodi per i cinque secoli delle epoche achemenide, seleucide ed arsacide, noi abbiamo trovato un'articolazione molto più fitta ed intensa, suddivisa con molta chiarezza in nove fasi stratigrafiche.

Cosa comportano questi risultati?
Le due campagne a Pasargade ci hanno aperto la possibilità di una conoscenza molto più analitica dei materiali, primo tra tutti la ceramica. Poiché le ricognizioni di superficie, ovvero la ricerca e l'identificazione dei siti sul territorio, si basano su ciò che si trova sulla superficie, in modo particolare la ceramica, avere finalmente una sequenza che ci permetta di stabilire quelle che sono le tipologie d'impasto e le forme tipiche dei vari periodi ci dà la possibilità di proseguire la ricerca nella regione del Fars, potendo ricostruire anche come evolvono nel tempo le dinamiche di insediamento sul territorio.

Che risultati ha avuto invece lo scavo al cantiere della diga?
Il cantiere della diga ha suscitato molte polemiche e proteste, tanto che nel gennaio del 2007 noi archeologi che avevamo lavorato nei diversi siti fummo calorosamente invitati a partecipare ad un congresso a Teheran, realizzato appositamente per placare l'opinione pubblica. Sulla base delle relazioni che furono presentate, fu possibile alle autorità iraniane stabilire che tutto sommato, la diga poteva procedere, perché il lavoro di studio era stato eseguito e non era emerso nulla di monumentale che potesse spingere a bloccare i lavori. I risultati degli studi compiuti, ad ogni modo, sono di enorme interesse scientifico, e la Missione dell’Università di Bologna e del Centro Iraniano di Ricerche Archeologiche ha potuto scavare per la prima volta un insediamento rurale di epoca achemenide, sito che in verità aveva strutture di tale povertà da renderne impossibile la musealizzazione.

Le polemiche nate intorno alla costruzione di questa diga hanno sollevato anche preoccupazioni per la conservazione della tomba di Ciro il Grande a Pasargade.
Dietro le polemiche contro questa operazione c'è stata molta malafede, è stata una campagna orchestrata soprattutto dalle comunità iraniane all'estero e da tutti coloro che, per questioni politiche e ideologiche, sono avversi al regime iraniano. Sono stato dispiaciuto del fatto che su queste posizioni non obiettive si sia allineata anche il Premio Nobel Shirin Ebadi, che credo fosse male informata sulla questione. La tomba di Ciro si trova nella pianura di Pasargade, una zona aperta, molto ventilata e molto asciutta. A distanza di circa cinque chilometri e separato da una stretta gola, inizia il lago che, dopo altri cinque chilometri, si allarga per una valle ampia e circondata da montagne. Nelle due zone ci sono due diversi climi, perché le montagne e la gola fanno da barriera. Non credo che il volume di acqua che si raccoglierà nel lago sia in grado di modificare il clima e mettere a rischio la tomba di Ciro. Tutto sommato, la mia impressione è che, al contrario, questo progetto della diga di Sivand sia stato in realtà un grande successo, perché ha dimostrato che il governo iraniano ha tutte le capacità, quando vuole, per intervenire in modo esemplare in situazioni simili: pensiamo che i progetti di sviluppo prevedono in Iran la costruzione di più di cento dighe nei prossimi anni.

L'impegno dell'Università di Bologna in Iran proseguirà?
Quella a cui stiamo lavorando la considero una fase intermedia nella collaborazione tra l'Università di Bologna e il Centro Iraniano di Ricerche Archeologiche. In occasione di un congresso che si è tenuto nel luglio scorso a Ravenna ho avuto occasione di incontrare il Direttore del Centro, il quale, soddisfatto della collaborazione con noi, mi ha chiesto un progetto di ampio respiro sull'archeologia del periodo storico. Ho pensato quindi che fosse il caso di tentare il passo più importante: andare a Persepoli.

Quali motivazioni l'hanno spinta a formulare un progetto proprio su Persepoli?
Persepoli è il cuore della Persia antica, dell'impero Achemenide, un nome ricco di storia, conosciuto da un pubblico molto vasto. Ma c'è un altro motivo: dal 1964 al 1979 l'IsMEO, Istituto Italiano per il Medio e l'Estremo Oriente (oggi confluito nell’IsIAO, Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente) è stata l'istituzione che ha condotto i restauri di Persepoli. Sono stati quindici anni di attività ininterrotta, condotti dal grande architetto Giuseppe Tilia, un lavoro che ha prodotto grandissimi risultati nella conoscenza di Persepoli, grazie anche ad una metodologia che ci vedeva allora e ci vede tutt’oggi primi al mondo. Motivati da questa grande tradizione italiana di ricerca, mi sembrava quindi giusto che potessimo ritornare a Persepoli. La collaborazione diretta con gli iraniani, poi, ci permette di avere una forte ricaduta anche a livello della formazione del personale locale.

Come si sviluppa il progetto?
Il progetto, che vede al centro l'Alma Mater, avrà una duplice articolazione, sia archeologica che di conservazione. Per questo secondo aspetto, forti della tradizione di lavoro e attività sul campo di cui parlavo, ci sarà la collaborazione dell'IsIAO e ci si augura anche una collaborazione da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. La parte archeologica, invece, sarà condotta sull'area esterna a quella dei monumenti achemenidi, che è probabilmente l'area in cui si trovava la città vera e propria, che conosciamo attraverso le fonti, ma di cui sappiamo ben poco. Il progetto dovrebbe essere quinquennale: probabilmente il 2008 sarà interamente dedicato ad indagini di superficie e nel 2009 si potrà cominciare con dei saggi di scavo.

Che ruolo hanno gli studenti in tutte queste attività?
La facoltà di Conservazione dei Beni Culturali ha moltissimi cantieri archeologici e la partecipazione degli studenti ad essi è sempre stato un punto fermo: il coinvolgimento degli studenti nelle ricerche sul campo è un aspetto fondamentale dell'attività didattica. Gli studenti partecipano alle attività della Missione archeologica dell’Università di Bologna in Iran sin dalla prima campagna, nel 2005, e continueranno chiaramente a partecipare anche a questo nuovo progetto. Ma l'attività a Persepoli, sarà anche un momento di formazione per il personale locale. Poiché le missioni archeologiche straniere in Iran sono tutte missioni congiunte, con una partecipazione paritetica del personale locale, abbiamo un’ottima occasione per formare il personale iraniano alla nostra scuola, nell’archeologia come nella conservazione, e ci auguriamo che in seguito sarà possibile completare questa formazione con la partecipazione a corsi di perfezionamento qui in Italia.