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Copiare conviene

Il successo deriva dall'imitare le strategie vincenti degli altri: è la conclusione di un'ampia ricerca interdisciplinare pubblicato su Science, tra intelligenza artificiale, neuroscienze e zoologia. Ma i "copioni" prosperano solo grazie al lavoro, meno redditizio, di chi innova e sperimenta
Successo

Tra i banchi di scuola è da sempre un’idea assai popolare, ma ora la conferma arriva perfino dalla scienza. Copiare è la migliore strategia di successo, e poco importa se il copiato sia un genio o una schiappa. Imitare gli altri resta comunque conveniente, anche quando l’alternativa di imparare da soli non risulti affatto più "faticosa". E’ questa la conclusione inattesa di un serissimo studio interdisciplinare che spazia dall’intelligenza artificiale, alle neuroscienze alla zoologia e che è stato recentemente pubblicato su Science, pulpito che più ufficiale non si può della ricerca mondiale di frontiera.

"Che si tratti di guadagnare soldi, conquistare potere, accumulare conoscenza, o primeggiare nello sport, in ogni circostanza in cui si tratti di decidere come meglio allocare il proprio tempo per compiere le scelte vincenti tra una varietà di opzioni possibili e in un ambiente in continuo cambiamento, le migliori strategie sembrano essere proprio quelle che fanno ampio ricorso all’emulazione dei propri simili" spiega Stefano Ghirlanda, co-autore della ricerca, 37 anni, una laurea in Fisica e un posto da ricercatore al Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna. Tra la possibilità di apprendere da soli, ad esempio per tentativi ed errori, e quella di imparare osservando gli altri, sostengono gli scienziati, è quest’ultima ad avere immancabilmente la meglio. Con buona pace dei nobili sentimenti e dell’etica del sacrificio. Sacrificio in realtà necessario al successo collettivo, laddove però i maggiori benefici non vanno a chi più ha rischiato, ma ai più opportunisti e scaltri, a chi copia di più e sa dare più valore alle informazioni più recenti, abilità quest’ultima in cui proprio la specie umana primeggia nel regno animale.

Per studiare in modo analitico l’efficacia delle diverse strategie, gli studiosi hanno indetto una vera e propria competizione internazionale: un torneo di astuzia che ha visto coinvolti oltre cento gruppi costituiti per lo più, ma non esclusivamente, da professori e ricercatori universitari. In palio, giusto per stuzzicare lo spirito agonistico, 10mila euro. A ciascun gruppo è stato chiesto di sviluppare una strategia di successo (codificata in un programma informatico eseguito da un computer), nell’ambito di un sistema competitivo matematicamente controllabile. Ad ogni turno i concorrenti dovevano scegliere tra un centinaio di diverse azioni quella che potesse garantire il maggior guadagno.

Una specie di slot-machine a cento leve. Ma poche erano le scelte davvero lucrose, e la maggior parte si risolveva in un buco nell’acqua. Ad ogni mano, ogni concorrente aveva tre possibilità: agire (tirare una leva), osservare o innovare. La prima opzione consisteva nell’attuare uno dei comportamenti già conosciuti, incassando l’eventuale guadagno. La seconda e la terza erano scelte di apprendimento: osservando le giocate degli altri in un caso, oppure ricevendo informazioni su una mossa ancora ignota nell’altro. A complicare e rendere più realistico il tutto, la possibilità di incorrere in errori di copiatura, e la mutevolezza delle condizioni ambientali: una mossa rivelatasi vincente in passato poteva cessare di esserlo a vantaggio di un’altra ignota, ancora da scoprire.

Gli studiosi hanno così messo in gara i vari sfidanti osservandone il successo, misurato attribuendo un valore monetario alle varie scelte. E non si sono limitati ad osservare le prestazioni dei vari concorrenti nel corso della loro "esistenza", ma hanno voluto riprodurre un modello simile a quello evolutivo, per valutare l’impatto sul lungo periodo, generazione dopo generazione, delle varie strategie. Ad ogni giro, un paio di concorrenti degli oltre cento "morivano", venendo rimpiazzati da copie di quelli che avevano riscosso punteggi più alti nel corso della loro vita. In questo modo le strategie di maggior successo prosperavano e si moltiplicavano, a svantaggio di quelle fallimentari.

I risultati dello studio - il più ampio, complesso e generale sin qui condotto sulle strategie di apprendimento - hanno colto di sorpresa un po' tutti: studiosi, supervisori della competizione e concorrenti. Contrariamente a quanto predetto dalle precedenti teorie, a vincere si sono rivelate non le strategie con il giusto mix di apprendimento sociale (basato cioè sull’osservazione e l’interazione con gli altri) e individuale (tentativi ed errori), bensì quelle che si affidano quasi esclusivamente all’emulazione. Quella classificatasi prima, con un distacco di quasi il doppio sulla seconda e di diverse lunghezze su tutte le altre, in particolare non sceglie mai di innovare, di sperimentare cioè in prima persona, ma sempre e solo di copiare gli altri, a meno che non ci sia proprio nessuno da copiare.

L’opinione precedentemente diffusa era che l’apprendimento sociale fosse più conveniente solo quando consentisse di ridurre i costi, in termini di sforzi e rischi, di quello individuale, ma non è stato così nell’esperimento in questione. Si pensava inoltre che copiare fosse vantaggioso, ammesso che lo si facesse in modo selettivo, scegliendo bene come e quando, mentre dallo studio è emerso che non è tanto importante chi si osserva, purché ovviamente si badi ad imitare solo quei comportamenti che risultino più efficaci, rispetto a quelli già noti. La superiorità delle strategie parassitarie, quelle che fanno affidamento quasi unicamente sulla sperimentazione altrui, si è rivelata schiacciante e resistente anche in condizioni estreme. Aumentando di molto ad esempio il rischio degli errori di copiatura, oppure limitando ad uno solo il numero massimo di contendenti osservabili ogni volta.

Tra gli altri aspetti salienti messi in luce dalla ricerca, il fatto che l’apprendimento è tanto più funzionale quanto più uniformemente distribuito lungo tutto l’arco dell’esistenza e, soprattutto, quanto più si concentra nei momenti di crisi collettiva. Nei frangenti di cambiamento delle condizioni ambientali infatti, quando cioè le azioni fino a quel momento lucrative perdono improvvisamente di valore e il profitto medio crolla, la risposta più competitiva si è dimostrata quella di guardarsi attorno per scoprire, osservando gli altri, nuovi comportamenti premianti. I super strateghi insomma, hanno questa capacità di capire quando smettere di agire, e iniziare a studiare le scelte altrui. "Alcuni lieviti in natura – dice Ghirlanda - sembrano adottare un comportamento simile. Finché c’è cibo in abbondanza, continuano a riprodursi in modo asessuato, mantenendo inalterate le informazioni genetiche del loro Dna. Quando invece il nutrimento inizia a scarseggiare, passano alla riproduzione sessuata, approfittando della capacità di produrre nuovi enzimi e di digerire e assimilare così nuovi alimenti, grazie alla nuova ricombinazione delle informazioni genetiche conseguente alla riproduzione sessuale".

Altra peculiarità dei "profittatori di successo" è inoltre quella di saper dare più valore alle informazioni recenti, rispetto a quelle più datate. Sanno cioè "pesare" le informazioni sulla base di quanto tempo è trascorso dal momento in cui sono state apprese. In un ambiente in evoluzione infatti, le ultime dritte sono più affidabili di quelle carpite in passato, che hanno una maggior probabilità di essere state superate. Questa, osservano gli studiosi, è un’abilità spiccatamente umana, mentre gli altri animali non hanno sin qui dato grandi prove a riguardo. Potrebbe addirittura trattarsi di un ingrediente utile ad interpretare l’enorme, e per certi versi smisurato, successo demografico della nostra specie.

Al di là delle diverse tattiche adottate, a prosperare sono insomma i più opportunisti, quelli che lasciano volentieri agli altri il lavoro meno redditizio di innovare e sperimentare in prima persona nuove strade. Perché il copiare risulti vantaggioso, è infatti sufficiente che il comportamento copiato sia stato scelto dal confronto almeno con un altro. L’innovatore adotterà infatti quello più conveniente, offrendo suo malgrado l’informazione al copiatore di turno. Ma il successo dei "copioni" poggia tutto sull’esistenza dei meno arrivisti innovatori. Senza di loro infatti, è dimostrabile analiticamente, la strategia del copiare perderebbe ogni funzionalità, e i guadagni crollerebbero. A ciò si aggiunga che il guadagno medio in una situazione di competizione globale risulta inferiore a quello che si realizzerebbe adottando tutti quanti una sola strategia meno efficiente. Come dire che la concorrenza logora e non garantisce il migliore dei mondi possibili.

Gli spunti di questo studio a cavallo tra l’intelligenza artificiale, l’economia, la zoologia e le neuroscienze sembrano suggestivi e numerosi. Sarebbe ora interessante capire, avvertono gli scienziati, se i risultati verrebbero confermati anche utilizzando concorrenti umani, o cosa accadrebbe in ambienti complessi in cui le strategie risultate vincenti in questo caso non dovessero funzionare.