È uno dei più classici luoghi comuni sull’argomento: smettere di fumare fa bene ma fa anche ingrassare. Secondo una ricerca di tre giovani economisti italiani, però, le cose non stanno proprio così. Davide Dragone, Francesco Manaresi e Luca Savorelli, ricercatori rispettivamente dell’Università di Bologna, della Banca d’Italia e della University of St Andrews in Scozia, hanno dimostrato infatti che la riduzione del consumo di tabacco, ottenuta attraverso tasse e divieti antifumo, può anche concorrere in modo significativo alla diminuzione dell’obesità. Partendo dall’idea che mangiare e fumare siano scelte interdipendenti, i tre studiosi spiegano che il fumo e l’obesità sono complementari piuttosto che sostituti.
La prevenzione e la correzione di comportamenti che portano all’obesità o al consumo di tabacco è diventata una priorità sia dei governi nazionali che dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Solo negli Stati Uniti il sistema sanitario nazionale spende circa 117 miliardi di dollari per la lotta al fumo e 190 miliardi per l’obesità. E dai dati emerge che l’intensa campagna antifumo degli ultimi quarant’anni ha inciso in modo considerevole sul consumo di tabacco: se nel 1965 il 42 per cento degli statunitensi fumava, nel 2007 i fumatori erano calati al 20 per cento della popolazione.
"Nello stesso periodo, però - osserva Davide Dragone - si è osservato un importante aumento della percentuale di popolazione obesa o gravemente obesa (passata dal 15 per cento ad oltre il 30 per cento). Poiché la nicotina riduce l’appetito ed accelera il metabolismo, è sempre stato spontaneo ipotizzare che le campagne antifumo potessero aver anch’esse contribuito, insieme ovviamente ad altri fattori, all’aumento del peso corporeo della popolazione. La nostra ricerca mostra invece un risultato opposto".
Lo studio - finanziato da FarmaFactoring Foundation in collaborazione con l’Associazione Italiana di Economia Sanitaria - evidenzia infatti che, benché nel periodo immediatamente successivo all’introduzione di nuove politiche antifumo si osservi una diminuzione del numero di fumatori ed un aumento del peso corporeo medio della popolazione, già a distanza di due anni le persone riescono ad abituarsi al nuovo stile di vita, non solo fumando meno ma diventando anche più attente alle abitudini alimentari. Il risultato è una riduzione del peso corporeo medio della popolazione rispetto al periodo precedente all’introduzione delle politiche antifumo.
"Quello che abbiamo osservato, facendo riferimento a un campione rappresentativo della popolazione statunitense nel periodo 1999-2008, - continua Dragone - è un generale miglioramento della qualità della dieta e una riduzione del contenuto calorico del cibo consumato, con un calo nell’indice di massa corporea del 2,5 per cento, in risposta ad un aumento delle accise sulle sigarette di 10 centesimi di dollaro. Anche i bandi antifumo determinano una modifica nelle abitudini alimentari, con effetti diversi a seconda del luogo di applicazione. Se dopo l’introduzione dei divieti antifumo nei bar si tende a mangiare minori quantità di cibo, ma di peggiore qualità, nei ristoranti si tende a mangiare di più, ma meglio".
Dragone, Manaresi e Savorelli rivelano un lato delle politiche antifumo che fino ad oggi era rimasto sconosciuto: non solo questi provvedimenti portano a ridurre il numero di fumatori, ma nel medio periodo contribuiscono anche a contrastare l’obesità, spingendo le persone a modificare in meglio le proprie abitudini alimentari. Decidere di smettere di fumare diventa allora una scelta doppiamente raccomandabile: non solo riduce il rischio di malattie polmonari, cardiache e tumorali, ma spinge anche ad abitudini alimentari più sane, e provoca un generale aumento del benessere fisico.