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Lo "status speciale" dei volti familiari

"I processi di riconoscimento dei volti operano in condizione di ridotte risorse attentive e addirittura in assenza di consapevolezza". Lo studio di un'equipe internazionale, guidata da ricercatori Unibo, che ha indagato la facilitazione nel processo di riconoscimento dei visi appartenenti a individui familiari
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I volti familiari hanno uno "status speciale" e vengono percepiti in maniera facilitata: è questa l’ipotesi di studio da cui è partito il progetto dell'equipe guidata dalla docente e ricercatrice Unibo Maria Ida Gobbini e dal professor Carlo Cipolli, che comprende anche gli studiosi Jason D. Gors, Yaroslav O. Halchenko, Courtney Rogers, J. Swaroop Guntupalli e Howard C Hughes del Darthmouth Coillege di Hanover (NH), USA. L'articolo, intitolato "Prioritized detection of personally familiar faces", è stato pubblicato sulla rivista PLOS ONE nel numero di giugno.

Il team guidato dai docenti Unibo ha cercato di stabilire se i volti familiari vengono elaborati preferenzialmente in condizioni di ridotte risorse attentive e in assenza di consapevolezza. L'ipotesi di lavoro è sorta da riflessioni su alcuni studi precedenti sui volti, che avevano mostrato come i volti con espressioni di paura vadano incontro ad un riconoscimento (detezione) facilitato. "Il riconoscimento di volti familiari ha un valore ecologico fondamentale, quanto quello del riconoscimento delle emozioni", spiega Maria Ida Gobbini. "Nel momento in cui vediamo un volto familiare, il nostro comportamento cambia in maniera immediata e automatica in base a chi appartiene quel volto (basti pensare a come ci proponiamo con una figura autorevole rispetto ad un amico di vecchia data) e questo ci permette di avere delle relazioni sociali efficaci".

Nel primo esperimento, la metodica utilizzata è stata quella che in gergo si chiama RSVP, ovvero una presentazione visiva rapida seriale degli stimoli. Ai soggetti sono state presentate senza intervalli, e una dopo l’altra, una serie di immagini, ciascuna per la durata di soli 80 millisecondi. Questi stimoli erano fotografie di mammiferi non umani, alle quali erano state interposte due immagini target: il primo target era sempre un volto umano capovolto, il secondo target (presentato a una distanza inferiore a 500 millisecondi rispetto al primo) era un volto umano dritto appartenente ad  un individuo personalmente familiare oppure ad uno sconosciuto. Il compito dei soggetti era quello di dire quando avevano visto entrambi i target.

Il fenomeno del cosiddetto "attentional blink" attesta che il secondo target, se presentato in un lasso di tempo fra i 100 e i 500 millisecondi dopo il primo, non viene generalmente riconosciuto, perché in questo intervallo le risorse attentive vengono indirizzate al primo target.

L'esperimento del team condotto dalla Maria Ida Gobbini ha dimostrato che in realtà quando il secondo target è il volto di una persona familiare, questo viene riconosciuto più frequentemente (e quindi più facilmente) rispetto a quando è il volto di uno sconosciuto, nonostante la riduzione delle risorse attentive determinata dall'attentional blink.

Il secondo esperimento ha indagato l'elaborazione inconsapevole, attraverso la  metodica della soppressione interoculare (binocular rivalry), di volti familiari. Quando vengono presentate contemporaneamente immagini diverse ai singoli occhi, non ci è possibile vederle entrambe nello stesso momento; la consapevolezza percettiva si alterna spontaneamente ogni pochi secondi tra un'immagine e l'altra. È possibile prolungare la dominanza percettiva di una delle due immagini rendendola più "saliente", attraverso la manipolazione del colore oppure del movimento.

Nell'esperimento realizzato, ai soggetti venivano mostrati contemporaneamente due tipi di immagini: un tipo di immagini comprendeva raffigurazioni dinamiche e colorate (le quali rimanevano percettivamente dominanti più a lungo), mentre l’altro tipo di immagini (presentate all’altro occhio) corrispondeva ad immagini statiche con dei volti. Anche in questo esperimento i volti potevano essere di individui familiari oppure di sconosciuti. Ai soggetti era richiesto di premere un tasto non appena vedevano un volto o una parte di esso.

Quando i volti appartenevano a persone familiari, i soggetti sono risultati essere più rapidi nel riconoscimento della presenza di un volto,  rispetto a quando il volto apparteneva ad uno sconosciuto. Questo dato suggerisce che le caratteristiche essenziali che determinano l'identità di un volto vengono elaborate prima ancora che vi sia piena consapevolezza della presenza del volto stesso.

In pratica, non appena vediamo una faccia familiare, avviene immediatamente e spontaneamente il recupero di informazioni "personali" su chi ci sta di fronte. Questo meccanismo, che è alla base della percezione di volti familiari e viene attivato in modo non intenzionale, ha un indubbio valore adattativo.

Il riconoscimento di individui familiari, ipotizza Maria Ida Gobbini, è il risultato dell'attivazione di un sistema neurale distribuito, che comprende non solo la corteccia visiva ma anche aree cerebrali che sono coinvolte nelle funzioni cognitive non visive, come la corteccia prefrontale mediale, la giunzione temporo-parietale, il precuneuo, oltre ad aree subcorticali che hanno un ruolo nella risposta emotiva. La frequenza di rilevazione più elevata per volti familiari durante l'attentional blink e l'elaborazione inconsapevole dei volti familiari suggeriscono che una parte o tutti i sistemi che mediano il riconoscimento dei singoli volti familiari possono essere attivati indipendentemente dall'esplicito riconoscimento visivo del volto.

In definitiva, i due esperimenti forniscono indicazioni convergenti sull'individuazione prioritaria dei volti familiari. "I processi di riconoscimento dei volti operano al di fuori del focus attentivo e in modo implicito, ovvero senza consapevolezza visiva", spiega Maria Ida Gobbini. In pratica, riusciamo a percepire in modo facilitato quegli stimoli che abbiamo imparato essere rilevanti grazie alle interazioni con l’ambiente fisico e sociale: un esempio di questi stimoli sono proprio i volti familiari.