Sentinelle per l’organismo o accidentali "cavalli di Troia" per la malattia? Un team di ricerca guidato da Maurizio Brigotti del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Alma Mater, ha pubblicato sul Journal of Immunology una ricerca che rappresenta un passo avanti nella comprensione dell’ambigua ed enigmatica relazione esistente tra un particolare tipo di globuli bianchi, i neutrofili, e le tossine (note come Shiga tossine) prodotte da alcuni batteri patogeni, gli Escherichia coli enteroemorragici.
Questi batteri sono responsabili della Sindrome emolitico uremica (SEU), una grave malattia che colpisce soprattutto i bambini in tenera età determinando anemia, riduzione del numero delle piastrine e insufficienza renale acuta, che obbliga spesso ad un ricorso alla dialisi.
La ricerca bolognese è riuscita ad identificare il recettore di superficie dei neutrofili in grado di riconoscere e legare le Shiga tossine nel sangue dei pazienti. Conoscere l’identità del recettore significa poter intervenire durante la fase cruciale dello sviluppo della SEU, quando le tossine sono in circolo e prima dell’instaurarsi del danno renale e cerebrale.
La SEU rappresenta un’importante emergenza sanitaria, come dimostrato in occasione della grave epidemia tedesca di Escherichia coli enteroemorragica del 2011 (quasi 4000 persone colpite dall’infezione, più di 800 casi di SEU, 54 morti) e dalla epidemia italiana della scorsa estate in Puglia. Tutto ha inizio con una gastroenterite, caratterizzata da diarrea con perdite di sangue, durante la quale i batteri producono delle tossine, rilasciandole nel sangue dei pazienti. Queste tossine (denominate Shiga tossine in onore di Kiyoshi Shiga, l’infettivologo giapponese che per primo isolò, nel 1898, il batterio responsabile della dissenteria bacillare), sono tra i più potenti veleni noti in natura e possono colpire reni e cervello, scatenando la SEU.
Una volta entrate in circolo le Shiga tossine incontrano però i globuli bianchi, in particolare i neutrofili. Queste cellule, vere e proprie sentinelle dell’organismo, riconoscono categorie di molecole appartenenti a microrganismi patogeni, come batteri, virus e funghi. Il riconoscimento è molto simile alla capacità che ognuno di noi ha di distinguere, a colpo d’occhio, un africano da un asiatico, o un aborigeno da un nordeuropeo. Vengono cioè riconosciuti tratti comuni condivisi da un gruppo, non l’identità del singolo individuo. Il riconoscimento avviene attraverso recettori di superficie e intracellulari che si mettono in allarme stimolando una risposta infiammatoria, indispensabile per l’attivazione di meccanismi più specifici per contrastare l’aggressione patogena.
In caso di Sindrome emolitico uremica però, non si è certi che i globuli bianchi neutrofili abbiano un ruolo protettivo contro le Shiga tossine. Se da un lato infatti potrebbero, come di norma fanno, segnalare la presenza delle pericolose "intruse" e bloccarle impedendo loro di giungere al bersaglio cerebrale e renale, d’altra parte potrebbero agire in modo diametralmente opposto.
Un’ipotesi accreditata suggerisce che le Shiga tossine possano aver sfruttato abilmente il legame con i globuli bianchi, "ingannandoli" per farsi trasportare, a cavallo di queste cellule, fino ai reni e al cervello, eludendo le difese dell’ospite. In questo caso i neutrofili non solo non sarebbero protettivi per l’organismo, ma diventerebbero dei veri e propri "cavalli di Troia" della malattia.
L’obiettivo della ricerca, ora in corso, è quello di agire sul legame neutrofili-Shiga tossine, potenziandolo, se si riscontra una funzione difensiva da parte dei globuli bianchi o inibendolo qualora questi ultimi diventassero accidentali strumenti dell’azione distruttiva delle tossine. A tal fine il team bolognese sta studiando empiricamente il problema in pazienti con gastroenterite causata da questi batteri patogeni.
Aver identificato questo legame rende ora possibile analizzare le varie tappe della malattia in modo molto più rapido ed incisivo. Grazie a questo sarà forse possibile, in futuro, riuscire anche a comprendere come mai solo una piccola parte dei pazienti infetti da Escherichia coli enteroemorragici è colpita dalla pericolosa SEU.
Alla ricerca hanno partecipato, accanto al team leader Maurizio Brigotti, Valentina Arfilli e Domenica Carnicelli del Dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale ed Enzo Spisni, Francesca Borsetti e Elena Fabbri del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Alma Mater, oltre a Pier Luigi Tazzari, Francesca Ricci e Pasqualepaolo Pagliaro del Servizio di Immunoematologia e Trasfusionale dell’Ospedale S. Orsola-Malpighi. Questo studio si è avvalso dell’importante contributo scientifico di Marco A. Cassatella e Nicola Tamassia dell’Università di Verona, nonché, sul piano economico, dell’efficace sostegno di "Progetto ALICE Onlus - Associazione per la lotta alla SEU", l’associazione di genitori dei piccoli pazienti colpiti dalla malattia.