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I nostri motori di ricerca: intervista con Cristina Quarta

5 PER MILLE UNIBO / Il suo dottorato è in Scienze Mediche Specialistiche, Malattie Cardiovascolari, ha 32 anni e studia l'amiloidosi cardiaca, una malattia potenzialmente fatale che comporta un ispessimento e irrigidimento delle pareti del cuore

Ciao Cristina di cosa ti occupi?
Sono un cardiologo e mi occupo, nell’ambito della ricerca, di una malattia, l’amiloidosi cardiaca, rara ma ampiamente sottodiagnosticata in tutto il mondo. L’amiloidosi cardiaca è una malattia potenzialmente fatale e comporta, in chi ne è affetto, un ispessimento ed irrigidimento delle pareti del cuore con conseguente disfunzione cardiaca. Il mio progetto di dottorato riguarda l’approfondimento della fisiopatologia dell’amiloidosi cardiaca, lo sviluppo e l’implementazione di metodiche esistenti o innovative per il riconoscimento non-invasivo della malattia (ad oggi la diagnosi di certezza può essere ottenuta solamente tramite biopsia tissutale) e le possiblità terapeutiche per avviare i pazienti al trattamenti più appropriato. Ho svolto parte di questo progetto presso il centro Amiloidosi Cardiaca del Brigham and Women’s Hospital all’Università di Harvard, negli Stati Uniti.

Quando hai deciso di fare ricerca?
Ho avuto la fortuna di avere un mentore qui all’Università di Bologna, dove mi sono laureate e specializzata, il prof. Claudio Rapezzi, che mi ha fatto appassionare alla ricerca quando iniziai nel 2005 a frequentare il suo reparto e l’ambulatorio dedicato all’amiloidosi cardiaca presso la Cardiologia dell’Ospedale S.Orsola-Malpighi.

Cosa ti appassiona di quello che studi?
Non saprei dire che cosa mi appassiona perché sento di amare ogni aspetto della ricerca. Forse quello che più mi appassiona è la possibilità che da una mia idea o progetto possa venir fuori qualcosa in grado di dare speranza alle persone affette da questa malattia.

Cosa pensi prima di andare a dormire la sera?
La sera prima di andare a dormire di solito faccio un bilancio della giornata e ne ripercorro mentalmente tutti i passaggi, le persone con cui ho parlato, quello che di nuovo ho imparato. Programmo il giorno successivo step by step. Se ho un progetto in corso penso entusiasticamente a come migliorarlo. A volte cerco ispirazione per progetti futuri, altre cerco semplicemente di liberare la mente per caricarmi per il giorno seguente.

E quando ti svegli al mattino?
Penso che sono in ritardo e che avrei bisogno di 48 ore al giorno per fare tutte le cose che ho da fare.

Quale scoperta/invenzione pensi possa rivoluzionare il tuo ambito di ricerca nei prossimi cinque anni?
Le potenzialità diagnostiche hanno subito una rivoluzione drammatica nel campo della cardiologia, dall’ecocardiografia con speckle tracking analysis alla risonanza magnetica con contrast equilibrium, alla medicina nucleare con vari traccianti, in grado di visualizzare la presenza e quantificare i depositi di amiloide a livello cardiaco. Tuttavia la malattia resta ampiamente sottodiagnosticata, in parte perché clinicamente simula altre entità nosologiche più frequenti, in parte perché rara e poco sospettata. Favorire la diffusione delle conoscenze su questa malattia e implementare metodiche che ne facilitino il riconoscimento rappresenta uno dei goal fondamentali per chi studia l’amiloidosi. Inoltre esistono diversi gap nelle conoscenze fisiopatologiche. In linea di massima, comprendere appieno i meccanismi fisiopatologici dell’amiloidosi cardiaca consentirà di ottimizzare le potenzialità diagnostiche esistenti, di crearne nuove ad hoc e di scegliere trattamenti terapeutici personalizzati.

Una cosa che hai imparato facendo ricerca.
Quello che ho imparato è che di imparare non si finisce mai. Per chi fa ricerca non esistono cartellini da timbrare né momenti in cui il pensiero non sia rivolto ad un progetto in corso o ad un’analisi da portare a termine. E non sono né l’intelligenza né il talento a determinare la buona riuscita di una ricerca, ma la totale dedizione e il non arrendersi mai di fronte alle difficoltà.


Sei un ricercatore "da adottare". Cosa vorresti dire ai tuoi sostenitori?
Come, penso, molti miei colleghi, non mi sento un ricercatore “da adottare” dal momento che l’università italiana mi ha cresciuta e mi ha dato i mezzi per poter camminare con le mie gambe nello sconfinato mondo della ricerca. In questo senso quello che direi ai miei sostenitori è di non perdere mai l’entusiasmo per ciò che si fa, anche quando i risultati stentano a venire, giacché l’entusiasmo è la chiave per la realizzazione di un qualunque sogno.