Senza la Ricerca? UniboMagazine intervista Nicoletta Landi
5 PER MILLE UNIBO / È dottoranda in Science, cognition and technology presso il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell'Alma Mater. Antropologa, si occupa di educazione all’affettività e alla sessualità per (pre) adolescenti. Partecipa allo sviluppo di un progetto educativo chiamato "W l'amore"
Ciao, di cosa ti occupi?
Ciao, mi chiamo Nicoletta e faccio ricerca nell’ambito della promozione della salute affettiva e sessuale per (pre) adolescenti nel contesto italiano. Sono antropologa e formatrice, mi occupo di temi legati alla sessualità, al genere, alla salute e all'educazione e cerco di usare le mie competenze analitico-operative sia dentro che fuori l’Accademia. Per questo motivo, inoltre, posso definirmi molto interessata a sperimentare e valorizzare l’antropologia negli ambiti più disparati e inaspettati, come appunto quello dell’educazione alla sessualità.
Quando hai deciso di fare ricerca?
Ho deciso di fare ricerca quando ho capito che sarebbe stato possibile farlo in maniera attiva e fluida come piace a me, e che portare avanti i miei interrogativi avrebbe potuto essere utile alla comunità di cui mi sento di far parte: non solo quella scientifica ma anche quella delle persone con cui vivo quotidianamente. Giovani e adulti.
Cosa ti appassiona di quello che studi?
Oltre l’approfondire temi stimolanti e misteriosi come quelli delle relazioni e del benessere affettivo e sessuale, amo il rapporto con le persone. Trovo, infatti, estremamente interessante il confronto con gli altri ricercatori e ricercatrici sia italiani che stranieri e con coloro con cui mi trovo a collaborare: insegnanti, genitori, operatori e operatici dei servizi, policy makers. Tuttavia, devo ammettere che stare con i ragazzi e le ragazze è la parte del mio lavoro che mi appassiona di più. Ascoltare le loro domande, accogliere i loro dubbi, i loro desideri e a volte anche i loro segreti mi fa sentire davvero fortunata.
Cosa pensi prima di andare a dormire la sera?
Dove sarò tra un anno? Sarò felice?
E quando ti svegli al mattino?
Ho fame.
Quale scoperta/invenzione pensi possa rivoluzionare il tuo ambito di ricerca nei prossimi cinque anni?
L’idea che si possa parlare di sessualità e di affettività in maniera aperta, ironica, senza tabù. Sia tra giovani sia tra adulti, a scuola come nei servizi. Rispettando le esperienze di ciascuno ed evitando, finalmente, di trattare quest’area così importante della vita di tutti/e come l’elefante nella stanza. Penso anche che sarebbe ora che la ricerca, in particolare quella antropologica, sia apprezzata per il contributo che può dare nel costruire – almeno nel mio ambito di studio - soluzioni educative innovative e inclusive. Questa si che sarebbe una rivoluzione per gli antropologi e le antropologhe! Le rivoluzioni sono importanti anche per noi ricercatori e ricercatrici, e per il nostro futuro.
Una cosa che hai imparato facendo ricerca.
Ho imparato che fare ricerca è un processo non solo individuale ma anche collettivo. Tutti e tutte possono contribuire a porre domande e proporre nuove sfide. Sarà che quando dico di cosa mi occupo tutti/e ci tengono a dire la loro, ma ho imparato che ciascuna voce va ascoltata. Ho capito inoltre che la ricerca è un percorso senza fine in cui bisogna mettersi in gioco, anche come individui, e che questa richiede passione, dedizione e coraggio. A volte può essere frustrante, ma bisogna restare lucidi/e e andare avanti.
Come sarebbe il mondo senza ricerca?
Per quanto riguarda i temi di mia competenza ci sarebbe ancora chi pensa che i modelli di genere siano “naturali”, che l’omosessualità sia una malattia e che l’Italia sia un Paese all'antica. Fortunatamente da quanto emerge dai miei studi, gli stereotipi inerenti alla sessualità stanno cambiando e l’Italia, che seppure resta un Paese complesso, è allo stesso tempo un luogo fatto di persone sempre più pronte a parlare di relazioni, affettività e diritti in maniera onesta, responsabile e innovativa.
Sei un ricercatore "da adottare". Cosa vorresti dire ai tuoi sostenitori?
Vorrei dire che nulla è più bello e importante di una ragazza che t’insegue dopo un laboratorio di educazione all'affettività per farti una domanda intima, personale, delicata, che non aveva il coraggio di fare davanti ai/alle compagne di classe. Una domanda la cui risposta può avere un peso importante nella sua vita, come nella tua che sei lì ad ascoltarla e a cercare le parole. Ecco, io vorrei dire ai miei ipotetici sostenitori che grazie a loro momenti come questi potrebbero ripetersi, implementarsi e far parte di pratiche educative sempre più strutturate e meno frammentate. Perché conta sì la risposta, ma anche il dare la possibilità ad altri/e ragazzi e ragazze come lei di avere più spazi in cui porre questo tipo di domande.