Sono stati pubblicati su Science i risultati del più grande studio sul DNA antico mai realizzato, che hanno permesso di individuare con un dettaglio senza precedenti alcuni aspetti fondamentali della storia dell’Asia centrale e meridionale, dalla nascita dell’agricoltura fino all’origine delle lingue indo-europee.
Nell'ambito di questa vasta ricerca internazionale, archeologi e antropologi di Nord America, Europa, Asia Centrale e Asia Meridionale hanno analizzato il genoma di oltre cinquecento individui vissuti migliaia di anni fa, aumentando così di circa il 25% il numero complessivo di genomi antichi pubblicati a livello globale. Lo studio – coordinato da David Reich, professore di genetica presso la Harvard Medical School – ha coinvolto anche un team di ricercatori dell’Università di Bologna, formato dagli antropologi Davide Pettener e Stefania Sarno del Laboratorio di Antropologia Molecolare (Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali) e da Donata Luiselli, responsabile del Laboratorio del DNA antico (Dipartimento di Beni Culturali).
Il contributo dei ricercatori Unibo riguarda in particolare lo studio di reperti dell’età del bronzo provenienti da scavi archeologici condotti nelle steppe del Kazakhstan. “Grazie anche alla collaborazione con Gian Luca Bonora, specialista in archeologia dell’Asia Centrale che ha dato una precisa descrizione e contestualizzazione archeologica dei campioni, abbiamo potuto offrire contributi importanti in termini di confronto e di riferimento su una delle aree chiave nella storia dell’Asia Centrale”, spiega Davide Pettener. “Al centro delle distese eurasiatiche, infatti, le popolazioni preistoriche della steppa del Kazakistan hanno avuto un ruolo fondamentale nella trasmissione delle lingue indo-europee verso est e verso sud, nonché nella diffusione di tecnologie agricole verso la regione forestale siberiana e le alte montagne e valli dell'Asia interna”.
Confrontando tra loro i numerosissimi nuovi genomi studiati, affiancandoli a quelli già pubblicati in precedenza ed unendo queste informazioni con dati archeologici, linguistici e storici, i ricercatori sono riusciti a ricostruire molti dettagli chiave sulla storia dei popoli che hanno vissuto in Asia centrale e meridionale a partire dal Mesolitico (circa 12.000 anni fa) fino all'età del ferro (circa 2.000 anni fa), nonché su come queste popolazioni del passato si relazionino rispetto agli attuali abitanti di queste regioni. “Con un numero così elevato di nuovi campioni – spiega David Reich autore principale dell’imponente studio – siamo stati in grado di ricostruire in maniera estremamente precisa le interazioni avvenute nel corso del tempo tra le diverse popolazioni, nonché di analizzare i rapporti tra individui all'interno di ciascuna popolazione, cosa diventata possibile solo grazie agli enormi sviluppi tecnologici degli ultimi anni”.
“Questa ricerca parla di due delle più profonde trasformazioni culturali che si sono verificate nella storia dell’antica Eurasia: il passaggio dal sistema di caccia-raccolta all'agricoltura, e la diffusione delle lingue indo-europee, che oggi sono parlate dalle isole britanniche fino all'Asia meridionale”, spiega Vagheesh Narasimhan, primo autore dello studio. “Inoltre, questi studi sono particolarmente importanti e significativi anche perché l'Asia centrale e meridionale sono parti del mondo poco studiate”. Ron Pinhasi dell'Università di Vienna, altro autore principale della ricerca, aggiunge: “Uno degli aspetti più importanti ed interessanti di questo studio è il modo in cui integra la genetica con l'archeologia, l’antropologia e la linguistica. I nuovi risultati, infatti, sono emersi dopo aver combinato dati, metodi e prospettive da diverse discipline accademiche: un approccio integrato che fornisce molte più informazioni sul passato di quanto ciascuna di queste discipline possa fare singolarmente”.
L’ORIGINE DELLE LINGUE INDO-EUROPEE
Le lingue indo-europee – oltre quattrocento tra cui hindi/urdu, bengalese, punjabi, persiano, russo, inglese, spagnolo, italiano – comprendono la più grande famiglia di lingue parlate sulla Terra. Per decenni, gli studiosi hanno dibattuto su come questa grande famiglia linguistica si sia diffusa in vaste aree del mondo, contrapponendo due ipotesi principali. Le lingue indo-europee si sono diffuse tramite i pastori delle steppe euroasiatiche (Ipotesi delle steppe)? Oppure hanno viaggiato con gli agricoltori neolitici che si sono spostati verso est e verso ovest a partire dall’Anatolia (Ipotesi anatolica)?
Un precedente studio aveva suggerito come queste lingue fossero arrivate in Europa attraverso le steppe. I risultati di questa nuova ricerca sembrano confermare quell'ipotesi mostrando come i popoli dell’Asia meridionale abbiano pochissimi legami con agli agricoltori neolitici dell’Anatolia. Oltre a smentire l'Ipotesi anatolica, inoltre, lo studio identifica due importanti elementi a favore dell’Ipotesi delle steppe. Il primo deriva dai pattern genetici osservati, che collegano tra loro i popoli che parlano lingue appartenenti ai rami indo-iranico e balto-slavo degli idiomi indo-europei. Questi popoli infatti discendono da un sotto-gruppo di pastori delle steppe che si sono diffusi a ovest, verso l’Europa, quasi 5.000 anni fa, per poi spostarsi verso est, in Asia centrale e meridionale, nei successivi 1.500 anni: antiche migrazioni che spiegano come mai popoli con caratteristiche linguistiche condivise siano oggi separati da vaste distanze geografiche. Il secondo elemento in favore dell’Ipotesi delle steppe è invece la scoperta da parte dei ricercatori che, delle 140 popolazioni Sud asiatiche moderne analizzate nello studio, alcune hanno mostrato un alto livello di ancestralità con gli antichi abitanti delle steppe. Quasi tutte queste popolazioni sono costituite da gruppi storicamente sacerdotali, inclusi i brahmini, che tradizionalmente sono i custodi di testi scritti in sanscrito, antica lingua indo-europea.
L’ORIGINE DELL’AGRICOLTURA
Oltre alla questione delle lingue, i risultati di questo grande studio internazionale hanno fornito importanti informazioni anche su un altro importante interrogativo, legato all'origine dell’agricoltura: il passaggio da un’economia basata sulla caccia e sulla raccolta ad una basata sull'agricoltura è stato guidato maggiormente da migrazioni di persone, dallo scambio di idee o da invenzioni locali?
In Europa, studi sul DNA antico hanno mostrato come l’agricoltura sia arrivata insieme ad un flusso di persone con origini anatoliche. Il nuovo studio appena pubblicato su Science ha rivelato una dinamica simile anche per Iran e Turan (la parte meridionale dell’Asia centrale). Qui infatti i ricercatori hanno scoperto che elementi ancestrali di origine anatolica e l’agricoltura sono comparsi praticamente nello stesso momento. Questo conferma che la diffusione dell’agricoltura ha seguito non solo una rotta verso ovest dall'Anatolia all'Europa, ma anche una rotta verso est dall'Anatolia in regioni dell’Asia precedentemente abitate solo da gruppi di cacciatori-raccoglitori.
Quando poi, migliaia di anni dopo, l’agricoltura si è diffusa verso nord, attraverso le montagne dell’Asia interna, i legami diretti tra discendenze comuni ed economia sono diventati più complessi. A partire da circa 5.000 anni fa, infatti, i dati emersi dallo studio documentano sia flussi verso nord di popoli provenienti dall'Asia sud-occidentale che hanno portato con sé la tecnologia agricola, sia movimenti opposti di popoli originari delle steppe e della regione siberiana diretti invece a sud, verso il plateau iraniano. Questa regione, insomma, sembra essere stata una vera e propria “via della seta dell’età del bronzo”: un importantissimo corridoio per lo scambio di tanto di tecniche agricole che di idee tra Oriente e Occidente.
Molto diversa invece è la situazione emersa in Asia meridionale. In quest’area, infatti, lo studio non rivelato tracce di discendenze anatoliche, segno distintivo della diffusione dell’agricoltura verso ovest. Inoltre è emerso che l'ancestralità di origine iraniana presente nelle popolazioni dell’Asia meridionale – sia di agricoltori che di cacciatori-raccoglitori e sia nel nord che nel sud della regione – deriva da una linea che si separò dagli agricoltori iraniani e dai cacciatori-raccoglitori prima che questi si separassero l’uno dall'altro. Questo significa che la diffusione dell’agricoltura in Asia meridionale non sarebbe correlata alla migrazione di popoli provenienti da precedenti culture agricole occidentali, ma sarebbero stati invece i cacciatori-raccoglitori locali ad averla adottata.
UN ESPERIMENTO DI “OPEN SCIENCE”
Importanti rivelazioni sulla diffusione delle lingue indo-europee e sulla rivoluzione avviata con l’introduzione dell’agricoltura, quindi. Ma questo studio internazionale pubblicato su Science mostra anche un altro aspetto particolarmente rilevante. La maggior parte dei dati raccolti sono stati infatti resi pubblici già un anno fa in forma di preprint sull’archivio online bioRxiv. E la pubblicazione ha suscitato subito un forte interesse, tanto che lo studio è diventato di gran lunga il più scaricato (oltre 75.000 download ad oggi), con notevoli conseguenze positive.
I dati rilasciati online dai ricercatori sono stati infatti utilizzati in diversi altri articoli scientifici. E le analisi realizzate da altri ricercatori, compresa la comunità della “citizen science”, hanno contribuito a migliorare sostanzialmente la versione finale del lavoro che è stata poi pubblicata su Science. Un esperimento di “open science”, insomma, collaborativo e multidisciplinare che si è dimostrato un successo. E un risultato che va incontro alle indicazioni sulla libera disseminazione scientifica sostenute in Europa anche dallo European Research Council.
I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
Lo studio è stato pubblicato su Science con il titolo “The formation of human populations in South and Central Asia” e ha coinvolto oltre cento studiosi tra archeologi e antropologi di Nord America, Europa, Asia Centrale e Asia Meridionale. I due primi autori sono Vagheesh M. Narasimhan della Harvard Medical School (USA) e Nick Patterson del Broad Institute of MIT and Harvard e della Harvard University (USA). Coordinatori dello studio sono Michael Frachetti (Università di Washington a St. Louis, USA), Ron Pinhasi (Università di Vienna, Austria) e David Reich (Harvard Medical School, USA).
Per l’Università di Bologna hanno partecipato Davide Pettener e Stefania Sarno del Laboratorio di Antropologia Molecolare (Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali) e Donata Luiselli, responsabile del Laboratorio del DNA antico (Dipartimento di Beni Culturali).