Quando furono scoperti, nel 2009, durante gli scavi in una necropoli modenese di epoca tardo-antica (IV-VI secolo), divennero subito gli “amanti di Modena”: due individui sepolti nella stessa tomba e deposti mano nella mano. Nonostante il pessimo stato di conservazione delle ossa rendesse impossibile individuarne il sesso, la particolare sepoltura fece subito ipotizzare si trattasse di un uomo e una donna deposti insieme nell’atto di mostrare simbolicamente il loro amore eterno. Ma un nuovo studio guidato da ricercatori dell’Università di Bologna smentisce ora questa ipotesi: gli “amanti di Modena”, infatti, erano due uomini.
Nella loro analisi – i cui risultati sono pubblicati su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature – gli studiosi hanno utilizzato una tecnica innovativa che permette di determinare il sesso di un individuo a partire dalla presenza di particolari proteine contenute nello smalto dei denti. Il risultato – entrambi gli “amanti di Modena” erano di sesso maschile – rende ora ancora più particolare questa tomba, che dal 2014, in seguito ad un progetto di restauro e valorizzazione, è visibile nelle sale del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena. “Allo stato attuale non si conoscono altre sepolture di questo tipo”, spiega infatti Federico Lugli, ricercatore dell’Università di Bologna e primo autore dello studio. “In passato sono state trovate diverse tombe con coppie di individui deposti mano nella mano, ma in tutti i casi si trattava di un uomo e una donna. Quale fosse il legame tra i due individui della sepoltura modenese, invece, resta per il momento un mistero”.
LA RISPOSTA NEI DENTI
Quando furono scoperti nel 2009, gli scheletri dei due “amanti di Modena” erano in pessime condizioni di conservazione, tanto che con i tradizionali metodi di analisi delle ossa non si riuscì ad attribuire con certezza il sesso dei due individui. E anche le analisi genetiche effettuate in seguito non diedero risultati definitivi su questo aspetto.
Per arrivare finalmente ad una risposta, i ricercatori hanno deciso allora di utilizzare una nuova tecnica basata sull’analisi dello smalto dentale. Nello smalto, infatti, possono essere contenute due particolari proteine: AMELX, presente in individui di entrambi i sessi, e AMELY, presente solo negli individui di sesso maschile. Applicando questa tecnica, gli studiosi hanno analizzato i reperti dentali dei due “amanti di Modena” insieme a quelli di altri 14 individui selezionati come campione di controllo, dimostrando così che i due individui trovati nella necropoli modenese mano nella mano sono entrambi di sesso maschile.
“Il successo del metodo di analisi che abbiamo utilizzato rappresenta una vera rivoluzione per questo tipo di studi”, dice Antonino Vazzana, ricercatore dell’Università di Bologna tra gli autori dello studio. “Questa tecnica può rivelarsi determinante per la paleoantropologia, la bioarcheologia e anche l’antropologia forense in tutti quei casi in cui il pessimo stato di conservazione dei resti o la giovane età degli individui rende impossibile determinare il sesso a livello osteologico”.
AMANTI, FRATELLI O SOLDATI?
La conferma che entrambi gli “amanti di Modena” erano di sesso maschile apre però ora un altro interrogativo: qual è il significato di questa sepoltura dall’aspetto unico? I ritrovamenti di tombe con due individui deposti mano nella mano, o anche abbracciati, sono diversi, sparsi in tutto il mondo e di epoche differenti: dagli “amanti di Valdaro”, trovati in provincia di Mantova e risalenti a circa 6.000 anni fa, a casi simili in Grecia, in Turchia ed anche in Siberia, fino ad una coppia di scheletri rinvenuta in Romania risalente al XV-XVI secolo. In tutte queste occasioni, però, si tratta sempre di coppie composte da un individuo di sesso maschile e uno di sesso femminile.
“In letteratura non esistono altri casi di sepolture con due uomini deposti mano nella mano: non era certamente una pratica comune in epoca tardo-antica”, spiega infatti Federico Lugli. “Crediamo che questa scelta simboleggi una particolare relazione esistente tra i due individui, non sappiamo però di quale tipo”. Tra le diverse ipotesi in campo quella degli amanti sembra essere la più remota. “In epoca tardo-antica è improbabile che un amore omosessuale potesse essere riconosciuto in modo tanto evidente dalle persone che hanno preparato la sepoltura”, dice ancora Lugli. “Visto che i due individui hanno età simili, potrebbero invece essere parenti, ad esempio fratelli o cugini. Oppure potrebbero essere soldati morti insieme in battaglia: la necropoli in cui sono stati rinvenuti potrebbe infatti essere un cimitero di guerra”.
I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports – rivista del gruppo Nature – con il titolo “Enamel peptides reveal the sex of Late Antique ‘Lovers of Modena’”. A guidare la ricerca è stato un gruppo di ricercatori del Laboratorio di Osteoarcheologia e Paleoantropologia, diretto dal prof. Stefano Benazzi presso il Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna che comprende: Federico Lugli, Antonino Vazzana, Elisabetta Cilli, Maria Cristina Carile, Sara Silvestrini, Gaia Gabanini, Simona Arrighi, Laura Buti, Eugenio Bortolini, Anna Cipriani Carla Figus, Giulia Marciani, Gregorio Oxilia, Matteo Romandini e Rita Sorrentino. Hanno partecipato inoltre studiosi dell’Università di Modena e Reggio Emilia: Giulia Di Rocco, Filippo Genovese, Diego Pinetti e Marco Sola.
Il progetto di ricerca è stato condotto in collaborazione con i Musei Civici di Modena e con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e per le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara. Nel prossimo autunno, gli autori dello studio, l’equipe di antropologi dell’Università di Bologna e gli archeologi della Soprintendenza e del Museo Civico Archeologico di Modena presenteranno i risultati in una conferenza pubblica che si terrà a Modena presso le sale dei Musei Civici.