Negli ultimi cinque secoli, i casi di figli nati fuori dal matrimonio sono stati più frequenti tra i ceti poveri e operai e nelle città più popolose, con un picco durante la rivoluzione industriale, a fine Ottocento. A rivelarlo è uno studio internazionale pubblicato su Current Biology che, incrociando ricerche genealogiche e dati genetici, ha mostrato come l’infedeltà coniugale può essere influenzata dalle condizioni socioeconomiche e dal contesto demografico.
Dalla ricerca – che ha preso in considerazione un campione di uomini in Belgio e nei Paesi Bassi – emerge come i casi di figli nati fuori dal matrimonio, in genere poco frequenti, aumentano in modo significativo tra le famiglie delle classi sociali più basse, soprattutto nei centri abitati con un’alta densità di popolazione.
“Il tasso di paternità fuori dal matrimonio è basso: circa l’1% del totale”, commenta Alessio Boattini, ricercatore dell’Università di Bologna tra gli autori dello studio. “Abbiamo però osservato un picco durante la rivoluzione industriale, in coincidenza con la crescita demografica, soprattutto tra i ceti poveri e operai e nelle aree urbane: risultati che confermano l’ipotesi secondo cui le circostanze sociali possono influenzare i comportamenti sessuali, offrendo incentivi e opportunità per intraprendere relazioni extraconiugali”.
GENEALOGIA E CROMOSOMI
Lo studio è il primo ad indagare su larga scala in che modo il contesto sociale può influenzare l’infedeltà coniugale. I ricercatori hanno preso in considerazione 513 coppie di uomini adulti in Belgio e nei Paesi Bassi che, in base a ricerche genealogiche, hanno in comune un antenato in linea paterna e ne hanno analizzato il DNA, focalizzandosi in particolare sul cromosoma Y, uno dei due cromosomi umani che determinano il sesso.
Il cromosoma Y è presente solo negli individui di sesso maschile e viene tramandato di padre in figlio: quindi due maschi con un antenato paterno comune dovrebbero avere lo stesso cromosoma Y. “Confrontando il DNA abbiamo potuto vedere se tra le coppie che avevano un avo condiviso c’era anche corrispondenza a livello genetico”, spiega Boattini. “In caso contrario, ciò indicava che c’era stata una paternità fuori dal matrimonio”.
L’analisi è andata quindi a ritroso ricostruendo alberi genealogici e discendenze genetiche per cinque secoli, fino alla metà del Cinquecento, alla ricerca dei casi di paternità extraconiugali e delle caratteristiche dei loro protagonisti. Casi che nel complesso si sono rivelati piuttosto rari – circa l’1% del totale – senza differenze tra i due paesi coinvolti – Belgio e Paesi Bassi – né tra confessioni religiose – cattolica e protestante. Quando però sono andati ad indagare condizione socioeconomica e contesto demografico, i ricercatori hanno rilevato differenze significative.
CIRCOSTANZE SOCIALI
“Guardando alle professioni, abbiamo rilevato che mentre tra contadini, artigiani e mercanti il tasso di figli extraconiugali è di circa l’1%, tra gli operai e i tessitori di ceto più basso i casi salgono fino al 4%”, dice Alessio Boattini. “Mentre considerando la densità di popolazione, si passa dallo 0,6% di casi nei piccoli villaggi rurali al 2,3% delle città”.
E combinando queste due variabili, le differenze diventano ancora più accentuate: i casi di figli nati fuori dal matrimonio tra contadini e famiglie della classe media nei centri meno popolati sono lo 0,5%, mentre tra le famiglie dei ceti più bassi in città salgono fino al 5,9%. Con il picco più alto che emerge alla fine dell’Ottocento, quando con la rivoluzione industriale la nascita del proletariato ha fatto crescere in modo significativo la popolazione dei centri urbani.
“Questi dati mostrano che le circostanze sociali possono influenzare i comportamenti sessuali”, riassume Boattini. “Un risultato in linea con le previsioni teoriche secondo cui incentivi e opportunità per avviare o meno relazioni extraconiugali sono legati a specifici elementi di contesto”.
I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
Pubblicato su Current Biology con il titolo “A Historical-Genetic Recontruction of Human Extra-Pair Paternity”, lo studio è stato coordinato da Maarten H.D. Larmuseau della KU Leuven (Belgio).
Per l’Università di Bologna ha partecipato Alessio Boattini, ricercatore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali.