Logo d'ateneo Unibo Magazine

Giornata della Memoria: Le molte patrie di Izrail Kon

UNIBO STORIE DELLA MEMORIA| Il prof. Gian Paolo Brizzi, storico ed emerito dell’Alma Mater, racconta la storia di Izrail Kon, per sottolineare come anche quegli ebrei, che erano riusciti a sottrarsi all’Olocausto, avevano dovuto affrontare in quegli anni dominati dalla guerra, dalle dittature e da un diffuso antisemitismo, vessazioni di ogni tipo, che spesso davano luogo ad esiti tragici

Izrail Kon – Archivio storico dell’Alma Mater

Izrail (Isia) Kon (Con, Cohn), figlio di Isacco e di Leia, era nato ad Odessa il 19 Novembre del 1914. Ancora bambino, la sua famiglia si trasferì a Galati (Galatz), in Romania dove al pari dei famigliari assunse come identità anagrafica la cittadinanza romena con l’indicazione di appartenenza alla comunità ebraica della città, “di nazionalità israelita, di religione mosaica”.

I governi autoritari che occupavano la scena europea influenzarono l’azione dei governi romeni, assecondando la rinascita di un forte sentimento antisemita che indusse gli studenti ebrei, vessati e discriminati, a trasferirsi in altri Paesi.

In quegli stessi anni, in Italia si favoriva la presenza di studenti universitari provenienti da altri Paesi con evidenti intenti culturali e di propaganda politica. Fu così che, sul finire del 1933, quando il giovane Kon si trasferì a Bologna, nella Facoltà di Medicina da lui scelta circa un quarto degli studenti era composto da ebrei stranieri. Il suo soggiorno a Bologna si protrasse fino alla laurea: i maestri, le amicizie e le feste coi coetanei, infine la laurea e le nozze con la fidanzata che lo aveva raggiunto a Roma. Il ricordo degli anni felici trascorsi a Bologna fu ben presto sopraffatto da una serie di eventi avversi: mentre attendeva la consegna del diploma di laurea, il breve governo di Octavian Goga privò della cittadinanza romena quegli ebrei che erano nati in Russia dando vita ad una nuova diaspora della sua famiglia. Alcuni si rifugiarono in Russia, altri scelsero la Bessarabia e furono in seguito sterminati dai nazisti.

Per raggiungere in Russia la moglie, Kon dovette affrontare un viaggio avventuroso, parte in treno e parte a piedi, attraversando clandestinamente i confini, giungendo infine ad Akkèrman (od. Bilhorod-Dnistrovs'kyj), ma l’avvio dell’Operazione Barbarossa lanciata da Hitler contro la Russia lo costrinse a seguire gli abitanti di quella città che cercavano di sottrarsi al nemico in rapida avanzata. Attraversata l’Ucraina, la Russia, la Siberia, raggiunse infine il Kazakistan e qui venne  mobilitato come ufficiale medico, responsabile del Reparto di chirurgia della 44° divisione dell’Armata Rossa che operava sul fronte occidentale.

Nel maggio del 1942 qualcuno scoprì che il suo diploma di laurea era stato conferito dall’università di un Paese nemico e, senza altri accertamenti, Kon fu arrestato per presunto spionaggio, condannato a “dieci anni di prigionia e alla sospensione per cinque anni dei diritti civili” e inviato in un gulag dove sperimentò come l’odio verso gli “sporchi ebrei” fosse radicato anche fra quei disperati le cui speranze di sopravvivenza non superavano i due-tre mesi; solo il trasferimento nel gulag di Temnikovskij in qualità di medico volse al meglio la sua sorte ma la liberazione giunse solo dopo quattro anni di detenzione, grazie al tenace intervento della moglie che riuscì a farlo riabilitare.

La fine della guerra e il suo inserimento in qualità di primario in un ospedale pediatrico della capitale fu bruscamente interrotta da un caso giudiziario creato ad arte a carico dei medici del Cremlino sospettati di attentare alla vita delle massime cariche dello Stato, il famoso “complotto dei medici-ebrei”. Kon si rifugiò in un ospedale lontano da Mosca, vivendo per mesi nell’angosciosa attesa di un nuovo arresto.

Con la morte di Stalin (1953), dopo quasi 15 anni durante i quali, sia pur incolpevole, la sua vita si era trovata ripetutamente messa a repentaglio dai periodici rigurgiti antisemiti, si aprì per lui una lunga fase di successi professionali in campo ortopedico-traumatologico e il riconoscimento internazionale della sua autorevolezza per le terapie da adottare nella cura della scoliosi.

Il suo legame con l’Italia, alimentato dalle numerose amicizie intrattenute a Mosca con intellettuali, artisti, diplomatici e uomini politici italiani, fu sanzionato nel 1990: abbandonata Mosca, si trasferì a Bologna e riuscì ad ottenere la cittadinanza italiana grazie all’impegno personale del ministro degli interni Giorgio Napolitano, provvedimento che gli consentì di riprendere ad esercitare la professione. Finalmente con quella scelta di una nuova ulteriore patria, non più dettata da condizioni di necessità o di pericolo, egli concludeva simbolicamente l’itinerario della sua vita.


Per conoscere le altre storie della Memoria:
Il caso di Dora Klein
Il caso di Alexander Fallik
Il caso di Jòzef Klinger