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Erasmus e coronavirus: a Madrid due studentesse volontarie per studiare la Covid-19

Arianna Catino e Gemma Bassani, iscritte al quarto anno di Medicina e chirurgia, stanno partecipando ad un’indagine pensata per individuare le procedure migliori – farmacologiche e non – che permettano una risposta il più possibile efficace alla malattia. “Siamo contente di poter dare una mano, ed è un’occasione preziosa anche dal punto di vista formativo”


Quando l’emergenza coronavirus è arrivata anche in Spagna, con i tirocini sospesi negli ospedali, il loro Erasmus sembrava in stallo. Ma Arianna Catino e Gemma Bassani hanno deciso di rimanere a Madrid e dare una mano come volontarie allo sviluppo di un progetto di ricerca pensato per individuare le condizioni migliori di trattamento dei pazienti affetti da Covid-19. “È un’occasione per fare la nostra parte e al tempo stesso un’esperienza importante di formazione”, dice Gemma. “Non mi aspettavo che sarebbe stato cosi faticoso, ma non mi aspettavo nemmeno di imparare così tante cose”, aggiunge Arianna.

Studentesse dell’Università di Bologna, entrambe iscritte al quarto anno di Medicina e chirurgia, Arianna è originaria di Salerno e Gemma di Faenza: sono arrivate nella capitale spagnola lo scorso settembre. “Ci siamo conosciute qui a Madrid, prima c’eravamo incrociate solo un paio di volte”, dice Gemma. Ospitate alla Universidad Autónoma de Madrid, i primi mesi del loro Erasmus sono stati segnati dalla scoperta della città ma anche dallo studio, dagli esami e dai tirocini in ospedale: Arianna all’Hospital Universitario Fundación Jiménez Díaz e Gemma all’Hospital Universitario La Paz. “Da subito abbiamo potuto immergerci in una città bellissima, incredibilmente viva, facendo allo stesso tempo un’esperienza importante di pratica negli ospedali”, conferma Arianna.

Poi, a partire dalla fine di febbraio sono iniziate ad arrivare le prime notizie preoccupanti dall’Italia, con i primi focolai di Covid-19 che rapidamente hanno iniziato ad espandersi. In quelle settimane di inizio emergenza, Arianna e Gemma hanno vissuto un copione comune a quello di molti italiani all’estero. “Inizialmente, l’impressione in Spagna è che fosse solo un problema italiano”, dice Gemma. “Ma ci siamo subito rese conto che era solo una questione di tempo prima che il coronavirus arrivasse anche qui, tanto che ci siamo messe appena possibile in auto-quarantena”.

Come previsto, purtroppo, a inizio marzo i primi casi di Covid-19 sono comparsi anche a Madrid. I tirocini negli ospedali sono stati sospesi, poi è arrivata la chiusura di scuole e università, ed infine la sospensione di tutte le attività non essenziali. A quel punto, ad Arianna e Gemma, come a tutti gli studenti Unibo in Erasmus, l’Università di Bologna ha offerto la possibilità di rientrare in Italia per poi riprendere il periodo di mobilità quando possibile, oppure proseguire l’Erasmus seguendo le indicazioni delle autorità locali. “Abbiamo subito deciso di restare qui, anche se ci è dispiaciuto non poter più andare in ospedale”, dice Gemma. “Inizialmente ho pensato che almeno avrei potuto dedicare più tempo allo studio, dato che comunque abbiamo diversi esami da dare nei prossimi mesi”.

Ma ad interrompere la quarantena è arrivata un’iniziativa di ricerca avviata all’IdiPAZ - Instituto de Investigación Hospital Universitario La Paz, per la quale sono stati coinvolti gli studenti di medicina. C’era bisogno di volontari e Arianna e Gemma hanno offerto la loro disponibilità. “Lo studio è pensato per capire quali sono i modi migliori per gestire un paziente malato di Covid-19, non solo dal punto di vista farmacologico, ma anche più in generale sul protocollo da seguire, quali esami fare, quali sono i parametri più importanti da considerare, quali i maggiori fattori di rischio”, spiega Arianna. “Essendosi trovati a rispondere ad un’emergenza, i medici negli ospedali hanno fatto tutto il possibile con i mezzi e le conoscenze che avevano a disposizione: l’obiettivo dello studio è arrivare ad individuare le procedure migliori in modo da arrivare ad una risposta il più possibile efficace, da poter utilizzare anche in futuro”.

Per arrivare a questo risultato è indispensabile raccogliere molti dati in modo minuzioso e standardizzato. Ed è quello che sta facendo il gruppo di circa 65 studenti coinvolti. “Al momento siamo riusciti ad inserire i dati di più di 2.200 pazienti nel database: è un lavoro molto meticoloso di analisi della storia clinica, per ogni paziente serve almeno mezz’ora di tempo”, spiega Gemma. “Ogni giorno ci sono due turni, ognuno con una ventina di studenti coinvolti: noi partecipiamo due o tre volte alla settimana”.

Oltre ad ottenere nuove informazioni su come trattare al meglio i pazienti affetti da Covid-19, il lavoro degli studenti permette ai medici di dedicarsi interamente al contenimento dell’emergenza. “Siamo contente di poter dare una mano: anche come studentesse di medicina, ci sembra importante fare la nostra parte per quanto possibile”, dice Gemma. E Arianna conferma: “Poter contribuire a studiare una malattia sconosciuta e capire come arrivare ad affrontarla al meglio è un’occasione preziosa, anche dal punto di vista formativo”.