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I mosaici ravennati sotto una nuova luce

Uno studio curato dall’Università di Bologna raccoglie, riesamina e aggiorna trent’anni di ricerche archeometriche condotte sulle tessere in vetro degli splendidi apparati decorativi, al fine di gettare nuova luce sui mosaici di Ravenna


Immagine: Corteo di Teodora, 520-547 ca. Ravenna, Basilica di San Vitale, presbiterio, parete meridionale (fonte: http://www.wikiart.org, public domain).

Trent’anni di ricerche sui mosaici di Ravenna vengono, oggi, riletti sulla base delle nuove conoscenze nel campo della produzione e circolazione del vetro da mosaico in età tardoantica. E' stato recentemente pubblicato, sul Journal of Cultural Heritage, uno studio curato dall’Università di Bologna che raccoglie, riesamina e aggiorna trent’anni di ricerche archeometriche condotte sulle tessere in vetro di questi splendidi apparati decorativi, al fine di gettare nuova luce sulla loro realizzazione.

Degli otto monumenti Patrimonio dell’Umanità che Ravenna custodisce, sette sono noti in tutto il mondo per essere veri e propri scrigni di tesori, che conservano al loro interno raffinati e coloratissimi mosaici risalenti al V-VI secolo d.C. Tratto distintivo dei mosaici ravennati è, infatti, l’uso di tessere vitree, sulla cui tecnologia di produzione e provenienza studiosi di fama internazionale si sono spesso confrontati.

Dal 1988, soprattutto in occasione di interventi conservativi, le tessere musive dei monumenti ravennati sono state oggetto di indagini scientifiche a cui docenti e ricercatori del Dipartimento di Beni Cultura dell'Alma Mater hanno attivamente collaborato. Questo ha portato all’analisi di quasi trecento campioni, editi a più riprese in studi e approfondimenti scientifici. Un dataset, quindi, certamente consistente, ma frazionato ed eterogeneo anche in termini di analisi effettuate. Obiettivo dello studio è stato riesaminare tutti questi dati nel loro insieme, alla luce delle attuali conoscenze relative a materie prime, tecniche di produzione e circolazione delle tessere musive nel bacino del Mediterraneo.

“A volte, siamo così concentrati sullo studio di nuovi materiali e sull’acquisizione di nuovi dati, da non prestare abbastanza attenzione a quanto sia già stato fatto in precedenza - dice Sara Fiorentino, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Beni Culturali e primo autore dello studio - Rileggere e revisionare dati già acquisiti, contestualizzandoli in un panorama aggiornato delle conoscenze, può rappresentare, invece, una vera e propria chiave di volta e aprire la strada a nuove considerazioni”.

Il riesame dei dati archeometrici ha evidenziato come non sia possibile, allo stato attuale delle conoscenze, accertare l’ipotesi della provenienza delle tessere musive direttamente da Bisanzio. I dati rimandano, infatti, all’utilizzo di diverse “ricette” per produrre il vetro delle tessere ravennati: si tratta di composizioni attestate nella recente letteratura in materia, per le quali è stata accertata una produzione localizzata in un’area compresa tra la costa siro-palestinese e l’Egitto.

“Ciò non significa che le maestranze specializzate che lavorarono alla realizzazione di questi splendidi apparati non potessero provenire da Costantinopoli – specifica Tania Chinni, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Beni Culturali e co-autrice della pubblicazione - Il nostro studio non mette in discussione gli influssi artistici e culturali, ma affronta l’argomento coniugando l’approccio archeometrico allo studio delle evidenze archeologiche: ad oggi, infatti, non abbiamo informazioni sul ritrovamento di officine per la produzione di tessere musive in vetro nell’area di Bisanzio”.

Lo scenario delineato è reso ancor più complesso dalla grande eterogeneità di materiali utilizzati per colorare le tessere ravennati, che mette in luce la necessità di ulteriori approfondimenti con il supporto di tecniche d’indagine di più recente applicazione allo studio del vetro antico. Va, infine, sottolineato come, su alcuni dei mosaici dei monumenti UNESCO ravennati, non siano state, finora, svolte analisi diagnostiche per indagare la composizione dei materiali.

Dallo studio, supervisionato da Mariangela Vandini, professoressa di fisica applicata presso il Dipartimento di Beni Culturali Unibo, emerge, dunque, un quadro particolarmente intrigante, testimone di come l'integrazione non solo tra diverse tecniche analitiche, ma anche tra diverse competenze, sia l'arma più potente a disposizione per gettare nuova luce sulla conoscenza della manifattura dei mosaici antichi.