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Dagli elettroni ai polaroni: quasiparticelle ancora da studiare

Nonostante siano note da decenni, sono molti gli aspetti che restano da chiarire, sulle loro proprietà e sulle possibili applicazioni, a partire da quelle nel settore dell’energia fotovoltaica


Si chiamano polaroni: sono quasiparticelle formate da un elettrone e dal campo di polarizzazione generato da una deformazione del reticolo di atomi che compongono i materiali solidi. La scoperta della loro esistenza risale a molti decenni fa, le loro caratteristiche e proprietà sono numerose, ma molte restano ancora da scoprire. Soprattutto, la loro capacità di accumulare e trasferire energia rende queste quasiparticelle estremamente interessanti per molte applicazioni, a partire dalle celle fotovoltaiche.

Con un lavoro pubblicato su Nature Review Materials, un gruppo internazionale di ricerca ha fatto ora il punto su quanto è stato finora scoperto sui polaroni e su come affrontare le sfide ancora aperte: una sintesi che raccoglie, tra l’altro, i frutti di dieci anni di ricerche teoriche e sperimentali realizzate dagli autori.

“Essendo centri di accumulazione di carica, e quindi di energia, i polaroni giocano un ruolo molto importante ad esempio nelle celle fotovoltaiche, ma anche negli innovativi transistor organici e nei processi chimici di catalisi che hanno numerosissime applicazioni industriali”, spiega Cesare Franchini, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi" dell’Università di Bologna e primo autore dello studio. “Conoscere da vicino queste quasiparticelle e comprendere la loro natura quantistica è allora essenziale per prevedere il loro comportamento e quindi per poter sfruttare le loro proprietà”.

Ad ipotizzare per primo l’esistenza dei polaroni fu il fisico Lev Landau nel 1933, ma la prima conferma sperimentale è arrivata solo negli anni ’60. Da allora, è diventato via via più evidente che la formazione di queste quasiparticelle è un fenomeno pervasivo che può avvenire in materiali sia organici che inorganici, influenzandone le proprietà in modo notevole.

Tutti i solidi possono infatti essere considerati come una rete di atomi tra le cui maglie si muovono gli elettroni. Questo reticolo di atomi non è immobile, ma può vibrare e curvarsi creando delle deformazioni: quando un elettrone viene intrappolato in una di queste deformazioni si forma un polarone, e questa quasiparticella presenta proprietà diverse da quelle dei singoli elettroni.

Il rutilio e l’anatasio – due minerali, entrambi forme naturali del biossido di titanio – sono ad esempio materiali nei quali è possibile osservare molte caratteristiche dell’azione dei polaroni, che ne possono influenzare funzioni come la capacità di conversione dell’energia o le proprietà di fotocatalisi.

Un’altra classe di materiali sensibile all’azione di queste quasiparticelle ha recentemente catturato l’attenzione degli studiosi: la perovskite, in particolare le perovskiti ibride organiche/inorganiche, che hanno un’elevata capacità di assorbimento della luce e per questo vengono usate sempre più spesso per la produzione di pannelli solari. Chiarire qual è il ruolo dei polaroni rispetto alla capacità di questo materiale di catturare energia potrebbe permettere di controllare e migliorare l’efficienza degli impianti fotovoltaici.

“L’azione dei polaroni all’interno di questi materiali può modificare fortemente le loro proprietà, per questo una possibilità per il futuro è arrivare a metodi per modulare queste caratteristiche controllando direttamente l’azione delle quasiparticelle”, dice ancora Franchini. “Del resto, nonostante i molti passi avanti fatti finora, siamo ancora lontani dal comprendere a pieno le proprietà dei polaroni e le possibili applicazioni che ne possono derivare”.

Le questioni aperte per arrivare a conoscere da vicino queste quasiparticelle sono insomma ancora molte. Per gli sviluppi futuri, gli studiosi ipotizzano l’elaborazione di nuovi approcci computazionali basati sul machine learning e sulla computer vision, oltre che sul raffinamento delle tecniche sperimentali. L’obiettivo è arrivare ad operare direttamente sui singoli polaroni, spostandoli in modo controllato e regolandone il movimento per migliorare le proprietà dei materiali all’interno dei quali agiscono.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Review Materials con il titolo “Polarons in materials”, è stato realizzato da un team internazionale di ricerca guidato da Cesare Franchini, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi" dell’Università di Bologna. Hanno partecipato inoltre Michele Reticcioli dell’Università di Vienna, con Martin Setvin e Ulrike Diebold dell’Università Tecnica di Vienna.